Wolfgang Goethe a Roma
L’esperienza romana rappresenta per Goethe un momento importantissimo della sua formazione umana, intellettuale e psicologica.
Fra i personaggi illustri che hanno soggiornato nella nostra capitale non potevamo ignorare Goethe per cui Roma stata un passaggio, insieme a tutta l’esperienza italiana, significativo, sotto il profilo psicologico della sua formazione letteraria.
Nato a Francoforte nel 1749, i suoi studi studi si svolgono a Lipsia e a Strasburgo, dove ha modo di conoscere il filosofo Herder che suscita in lui l’interesse per Shakespeare, per l’arte gotica medievale e per la poesia popolare.
In lui vigila un’inquieta ricerca che esprime la difficoltà di inserirsi, come anima elevata, nella mediocrità del mondo borghese di quei tempi.
Per questo motivo si avvicina al movimento “Sturm und Drang” che precede il periodo pre-romantico tedesco.
In questo spazio scrive il romanzo epistolare I dolori del giovane Werther e inizia una prima stesura del “Faust”.
È l’anno 1775 che lo vede precettore di un giovane duca a Weimar. In questo luogo Goethe passa quasi tutta la sua vita, trasformando questa piccola cittadina in un vero e proprio centro culturale, ospitandovi grande personalità come Herder e Shiller, con il quale stringerà fraterna amicizia.
Rimane a Weimar fino al 1786,vagheggiando quello che era sempre stato il suo sogno nel cassetto: un viaggio in Italia.
Il desiderio si avvera e si rivela una svolta nella crescita intellettuale di Goethe. Il belpaese significa per lui la bellezza serena e solare del mondo classico. Esperienza che verrà narrata quarant’anni dopo nel Viaggio in Italia sulla base di diari e lettere d’epoca.
Il viaggio in Italia ha avuto il valore, per Goethe, di una sorta di passaggio interiore, dal passionale periodo giovanile a un ideale più quieto e classico.
Espressione di questo cambiamento interiore è l’Opera Ifigenia in Tauride, in cui domina l’ideale dell’umanesimo e le rivelazione della donna vista come armonioso simbolo della poesia.
“Vivo qui in uno stato di chiarità e di pace, di cui da tempo non avevo neppur l’idea. Ogni giorno un nuovo oggetto di nota, ogni giorno immagini vive, grandi, peregrine, e un tutto ch’è vissuto a lungo nel pensiero e nel sogno, ma che l’immaginazione non bastava mai ad afferrare”.
Così scrive Goethe fra i suoi appunti, esternando la sensazione di pace che il nostro paese gli infonde.
L’intellettuale tedesco quando soggiornò a Roma dal 1786 al 1788 aveva quasi quarant’anni ed era al massimo della sua maturità, pronto quindi per una “rinascita” e per una ricerca di perfezione delle sue velleità artistiche e intellettuali.
Quello che più amava dell’Italia e di Roma era ciò che Goethe definiva come “leggerezza”, cioè la vita e l’allegria che da sempre contraddistingue l’idea che c’è nel mondo del nostro paese.
Arrivato a Roma il 30 Ottobre del 1786, si stabilì presso la casa di un pittore tedesco J:H:Tischbein, in via del Corso, in un palazzo che ospitava altri artisti provenienti dalla Germania.
Nei suoi itinerari romani, Goethe descrive minuziosamente le sensazioni provate, prendendo appunti, scrivendo lettere, mettendo sui fogli l’ascolto della sua anima e della sua mente.
Dopo piazza del Popolo, si seguiva la via Flaminia, nota a quei tempi, poiché portava verso il nord, piazza di grande importanza, di cui Goethe disse: “Seppi per certo che Roma era mia… dopo aver varcato l’arco”.
Una sua tappa forzata fu Villa Medici al Pincio, dove si rifugiò in una notte di temporale improvviso.
Dal 1804, Villa Medici è sede dell’Accademia di Francia, la quale fu fondata per ospitare artisti francesi che operassero a Roma.
Un altro segno dei suoi numerosi passaggi nella capitale lo troviamo al Caffè Greco, allora chiamato Caffè dei tedeschi.
Era un rifugio, un punto di riferimento per artisti e letterati che amavano la calda intimità di quel Caffè, per scambiarsi le loro impressioni politico-letterarie.
È al suo intervento diretto con il Papa Pio VI che dobbiamo la visione dell’obelisco di Piazza Montecitorio.
Nei suoi scritti c’è questo appunto:
“Questo antichissimo e bellissimo fra i monumenti giace ora infranto e sfigurato su alcune facce… eppure è ancora lì. Voglio far prendere l’impronta di una sfinge situata sulla cima, tanto più che corre voce che il Papa voglia rimetterlo in piedi, e allora i geroglifici diventeranno inaccessibili.”
Non troviamo invece alcun cenno alla Fontana di Trevi, che, seppur visitata da Goethe, ci riporta alla conoscenza del suo poco interesse per l’arte barocca, il suo indirizzo si riversava principalmente verso l’antico.
A tal proposito dai suoi scritti deduciamo questa ostilità, poiché egli così si esprimeva:
“È una dura e contrastante fatica quella di scovare pezzetto per pezzetto, nella nuova Roma, l’antica, eppur bisogna farlo, fidando in una soddisfazione finale impareggiabile. Si trovano vestigia di una magnificenza e di uno sfacelo che superano la nostra immaginazione. Ciò che hanno rispettato i barbari, l’hanno devastato i costruttori della nuova Roma”.
Il 3 Novembre del 1786, egli fece visita al pontefice presso il Quirinale:
“La piazza davanti al Palazzo ha qualcosa di affatto inconfondibile, irregolare com’è, eppur grandiosa e armonica. Ed eccomi finalmente davanti alle statue di Castore e Polluce.”
Spesso Goethe era solito leggere passeggiando: in genere i suoi percorsi preferiti erano i Giardini farnesiani sul Colle Palatino.
Di Roma, Goethe aveva colto i lati più belli, più significativi, più intensi per dare sensazioni al suo cuore sempre alla ricerca di qualcosa che calmasse la sua inquietudine.
I colori di via del Corso, i cocchi che la domenica specialmente animavano la città, suscitavano in Goethe un senso di vitalità non comune.
Anche il Campidoglio, spesso, vedeva Goethe passeggiare, in quanto era una delle sue mete preferite.
Da Roma egli partì il 1° Marzo del 1788, lasciando una forte impronta di nostalgia e rammarico.
“Noi non conosciamo le persone quando vengono da noi; dobbiamo andare noi da loro per sapere quel che sono” (J. Wolfgang Goethe).