“La vodka è finita” di Alessandro Bernardini
Recensione di “La vodka è finita” (Ensemble, 2014) di Alessandro Bernardini.
Ugo cerca di prendere una strada diversa da quella che sembra scritta per lui sperando così di risparmiarsi la fine del padre: e sì, perché suo padre – un boss di quartiere – viene brutalmente assassinato per vendetta nel carcere in cui si trovava da tempo. È il 1989 e Ugo è iscritto a economia, innamorato di Nina e cerca di non entrare in quegli affari “di famiglia” che lo Zio gestisce con estrema disinvoltura. Eppure qualcosa non va come avrebbe voluto. Il protagonista, dopo un incontro violento con un tossico che voleva derubarlo, si rende conto di non poter fuggire da ciò che è: il figlio di un boss, dotato di un’innata propensione verso quel mondo oscuro e cruento in cui si sbrogliano gli affari della malavita. O almeno, se ne convince. Nonostante lo zio opponga una resistenza non troppo determinata a questa improvvisa epifania del nipote, Ugo riesce a convincerlo a partecipare alle attività dei “suoi”.
Ma se è difficile fuggire dal proprio destino – cosa che, almeno apparentemente, sembrano fare molti dei personaggi di La vodka è finita – ancor più difficile è concretizzarlo. E così Ugo si ritrova a dover superare una prova inaspettata che, a causa di un contrattempo, lo porterà a prendere con sé un ostaggio decisamente spinoso.
La vicenda di Ugo non è la sola che Alessandro Bernardini ci vuole raccontare. Insieme alla sua infatti, compaiono molte altre storie, si rimescolano molti altri destini. Il romanzo è interamente composto da un susseguirsi di minuscoli capitoli che a volte vengono spezzati e alternati tra voci e vite differenti, altre invece riportano aspetti diversi di uno stesso avvenimento. Questo taglio così breve e nevrotico dà un ritmo serrato alla lettura e cede al libro la responsabilità di gestire il gioco, di disvelarsi poco a poco mostrando i tasselli che ne compongono il disegno finale, e il tutto secondo un ordine che al lettore è non è dato prevedere. Così facendo Bernardini, senza che la continuità e la compattezza del romanzo ne risentano minimamente, accende ancor di più l’attenzione e stuzzica la curiosità di chi si avvicina al romanzo.
A fare da sfondo a questo intreccio – magistralmente gestito – di riflessioni e vicissitudini di vario genere è la caduta del Muro di Berlino e la fine della Cortina di Ferro; il tutto preso in considerazione da un punto di vista sorprendente.
Non è facile, proprio per la sua complessità, confinare La vodka è finita in un genere.
È un poliziesco? Un romanzo ironico? Storico?
Parla d’amore? Di politica? Della vita in genere?
Parla di tutto questo, e parla del legame indissolubile che c’è tra l’uomo e il suo tempo, tra la sua crescita interiore e quella del mondo che lo circonda. Nelle storie di ognuno dei personaggi non si può fare a meno di cogliere alla base la forte necessità di imparare a conoscersi, la voglia di mettere in ordine i pezzi del puzzle che compongono ciascun percorso, la propria identità… e il tutto in una cornice comune – in alcuni momenti più evidente, in altri quasi dimenticata – dove le diversità si assottigliano e inspessiscono contemporaneamente.
Forse dovrei limitarmi a dire: simultaneo. È un romanzo simultaneo. In cui tutto si sovrappone e accade nel medesimo istante, in cui si può sentire a pieno la frenesia e la fragilità caotica della vita e della storia.