“Viviamo in una democratura. Non credo più che solo con le parole sia possibile ottenere giustizia”. Intervista a Mauro Corona
Intervista a Mauro Corona che a Latina ha presentato il suo nuovo libro “La voce degli uomini freddi” nell’ambito della rassegna culturale “Lievito”.
Mauro Corona, sessantaquattro anni, originario di Erto, un paesino della Valle del Vajont, in provincia di Pordenone. A Latina è stato invitato a presentare il suo diciannovesimo libro nell’ambito della rassegna culturale “Lievito” organizzata da Rinascita Civile nei saloni del Palazzo M. Nel suo nuovo libro La voce degli uomini freddi (Mondadori) Mauro Corona racconta la vita di un paese di montagna trasformandola in una fiaba contemporanea che esplora gli abissi e le vette delle esistenze di tutti noi. “Quello era un paese di neve,- si legge- nevicava anche d’estate. E anche nelle altre stagioni nevicava. Lassù nevicava sempre.” Capelli lunghi e bandana, sigaro tra le labbra, quattro figli, narratore di storie fantastiche di boschi, martore, camosci e cime incantate, con una passione sconfinata per le scalate e la scultura del legno. Al contrario del suo romanzo precedente Come sasso nella corrente, un libro “per non morire frainteso”, che è una sorta di testamento e nel quale ripercorre le angherie e le sofferenze di un’infanzia condotta ai margini. Qui Corona racconta di un’infanzia sofferta, di violenze fisiche e psicologiche da parte dei suoi genitori. E, scrive: “Alla sua morte mio padre mi ha lasciato un furgone di armi, mia madre una stanza piena di libri, mio nonno gli attrezzi da artigiano, ma non l’arte di tacere.”
Abbandonato da tua madre, fuggita perché tuo padre la picchiava. Poi, il collegio. E la solitudine…
Oggi che sono morti posso dire che li ho perdonati, ma allo stesso tempo non posso dimenticare la vita maledetta che ho fatto. Mi hanno salvato i libri e la voglia di scrivere. Si scrive, si fa musica, si scolpisce, si scalano le montagne per liberarsi da un inferno. D’altronde, la montagna rende tutti uguali: in parete, siamo legati e se io cado, cadi anche tu.
Ma “La voce degli uomini freddi” è un romanzo lirico e poetico, è un omaggio alla sua gente…
Tra le righe è un omaggio alla mia gente, ma denuncia i problemi attuali che colpiscono tutto il Pianeta: il furto d’acqua, la prevaricazione sui più deboli, il cinico interesse per il danaro che spazza via i più deboli, gli ultimi, cancellandoli dalla faccia del mondo, il furto della ghiaia, il furto del legname e dei boschi. Le amazonie sono anche lassù, nelle piccole comunità, dove per denaro si distrugge la natura facendo finta di proteggerla.
Perché la natura si ribella e accade quello che non dovrebbe accadere: alluvioni, cataclismi, valanghe, frane…?
Ma non è che la natura si ribelli, è come tagliare le gambe a una sedia, la sedia cade. Ma non è che la natura sia vendicativa o che giochi scherzi, è che se tu metti tutto cemento, l’acqua non sa più dove sprofondare e quindi si riunisce e travolge. Se tu interrompi il corso di un fiume, di un torrente, prima o dopo da qualche parte esplode, come è successo da noi.La natura si ribella a chi l’ha violata.
Tu tieni a ribadire che “viviamo in una democratura”. Che significa?
La democratura l’ho sentita dal mio amico scrittore Predrag Matvejevic. Democratura è un ibrido tra democrazia e dittatura. Cioè pare una democrazia però poi fanno le leggi che se non le rispetti, anche se sono inique, fasulle, ridicole, finisci dentro, finisci perseguito dalla stessa legge. Quindi, è inutile far finta che siamo in democrazia. Si può anche dire una parolaccia, si può insultare qualcuno senza finire in galera. Non è proprio una dittatura, ma è una democratura: un po’ di democrazia e molta dittatura. E poi, l’unica cosa che sta a cuore ai nostri politici è la brama di denaro. Non c’è pietà per la vita della gente e il senso civico è stato messo sotto i piedi proprio da chi esercita il potere. Non credo più che solo con le parole sia possibile ottenere giustizia.
Le tue storie affondano le radici nella tradizione popolare: storie magiche e leggendarie. Tutto questo, forse, per fuggire da questa realtà così triste e fallimentare?
Si. Aggrapparsi a un sogno, non che allora si stesse meglio, però aggrapparsi a una memoria che ancora funzionava, qualcosa che, vuoi per necessità vuoi per spirito d’amicizia, c’era più unità tra la gente. Se chiedevi un piacere te lo faceva, uno cadeva per terra sulla strada lo raccoglievano, oggi ti sbalzano. Cioè, questo nichilismo, questo menefreghismo, questa mancanza di fede, non in Dio, ma in noi stessi, nel nostro futuro, nella fede dell’entusiasmo di un sorriso, è venuta a mancare. Ai giovani bisogna insegnare il gusto di cedere il passo, a ragionare e a capire che l’uomo è forte e che la vita non va buttata così.
Allora, cosa ci aspettiamo dal futuro?
Io l’ho scritto in un libro, non cambierà nulla fino a che non toccheremo il fondo. Deve tornare la fame, la necessità del cibo, la miseria, allora non si butterà via un pezzo di pane, allora non sarà necessario che un tonno si tagli con un grissino, o tutto questo spreco, la maglietta firmata. Bisogna toccare il fondo e avere fame e avere la paura di morire di fame, allora l’uomo riparte. E poi, bisogna tornare alla terra, coltivare i campi, imparare a farci da soli il cibo. Dobbiamo smetterla di investire sulle industrie, perché se ti fai il mangiare diventi invincibile in quanto hai tutto per vivere.
Cosa pensi di Papa Francesco?
Mi piace moltissimo perché ha detto tante frasi belle. Poi Ha letto il Martin Fierro che è un poema epico argentino di José Hernandez. La storia di un gaucho che insegna la vita semplice, il perdono, la tolleranza, la carità, la generosità. Uno che ha letto il Martin Fierro, che pochissimi sanno cosa sia, è degno di rispetto perché è interessato al bene. Ed ha questo entrare con la gente, prendersi sul serio, non è ancora santo, quindi, va tra la gente, accetta uno zaino, offre la sua papalina a un ragazzino. E poi, dice che il pastore deve avere l’odore delle pecore. Ha detto frasi contro il lusso, questa ostentazione di lusso. L’uomo deve tornare a sé.