Ungaretti e la natura
Articolo sul rapporto tra Ungaretti, uno dei maggiori autori del Novecento, e la natura.La natura, nelle sue distinte sfaccettature, rivestì senza dubbio un ruolo fondamentale nella poetica del primo Ungaretti. Nei primi componimenti, infatti, dove lo sfondo fu spesse volte quello del conflitto, il poeta descrisse con estrema minuziosità gli scenari naturali in cui si districarono le sofferte vicende della trincea. «Docile fibra» immerso nelle matasse del creato, Ungaretti prese presto coscienza di esserne solo un’«immagine passeggera», assorbita dall’inarrestabile ciclo della vita. Proprio questo ciclo, assumendo delle leopardiane sfumature, apparve al nostro scrittore come un processo meccanicistico e irrefrenabile in cui si giunge appena a scorgere il “preludio” del nulla sempre in agguato, in cui vita e morte si alternano eternamente. Nei paesaggi ungarettiani, tuttavia, scorgiamo anche delle valenze “petrarchesche”, che ci appaiono come esplicite metafore di una situazione tutta interiore. L’atteggiamento che Scrittore assunse, tuttavia, non risultò quasi mai neutro mentre, a più riprese, fu lapalissiana l’aspirazione ad entrare «in armonia» con il creato. Il suo «supplizio» era , immedicabilmente, quando questo non accadeva. In questo articolo, prenderemo in esame una serie di testi della prima produzione ungarettiana e, nella fattispecie, quelli che il poeta scrisse in Francia negli anni parigini e di cui proporremo il testo in doppia lingua. Le due versioni, infine, laddove sarà necessario, verranno messe a confronto ed esaminate da un punto di vista semantico, tematico e lessicale.
SI PORTA
Roma fine marzo 1918
Si porta
l’infinita
stanchezza
dello sforzo
occulto
di questo principio
che ogni anno
scatena la terra
FIN MARS
Nous portons une fatigue infinie
naturelle de l’éffort occulte de com
qui chaque année revient à la terre
L’uomo, minuscola «fibra» del più ampio ciclo della natura, con il sopraggiungere periodico della primavera risente dello stesso sforzo di cui risente la terra per rigenerarsi. L’intero componimento è retto da due verbi, uno in apertura e l’altro a conclusione della lirica. Il primo ( «Si porta») è riferito alla spossatezza umana mentre il secondo («scatena» ) è indirizzato all’azione della natura. Entrambi condividono l’area semantica della fatica con l’aggiunta, per ciò che riguarda l’uomo, di uno spossamento anche interiore. Se confrontiamo i verbi del testo italiano con quelli del testo francese, ci balza immediatamente all’occhio alcune cose: il verbo «portare» che nel componimento italiano è utilizzato in terza persona singolare alla forma impersonale, nei versi francesi è impiegato alla prima singolare; il secondo verbo che in Si Porta è scatena e sembra puntare il dito sulla violenza dell’azione, per quanto riguarda “Fin Mars” è «revient», puntando decisamente più su un’idea di ciclicità .La scelta di accostare l’aggettivo «naturelle» a «effort» parrebbe rafforzare ancor più questo proposito. Entrambe le forme verbali sono utilizzate alla terza persona singolare.
SERENO
Dopo tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo
Mi riconosco
immagine
passeggera
Presa in un giro
Immortale
LA SÉRÉNITÉ DE CE SOIR
Après tant de nouages une à une se dévoilent
les étoiles
Je respire la fraîcheur que laisse sur les lèvres
la couleur attendrie du ciel
Je m’aperçois avec douce tristesse une immane
qui passe
pris en un tour éternel
In una bella serata d’estate, trascorsa al fronte, il cielo è limpido e, dopo un lungo inverno a cui il poeta ripensa, si scorgono finalmente le stelle. Ungaretti appare come trasportato dalla dolcezza di questo paesaggio pur rilevando che, nella magnificenza del creato, egli è solo un’«immagine passeggera». È l’ennesimo tentativo di godere pienamente della natura, di giungerne alla comunione.
L’ILLUMINATA RUGIADA
La terra tremola
di piacere
sotto un sole
di violenze
gentili
LA ROSÉE ILLUMINÉE
La terre se soulève de plasir sous un soleil de
violences gentile
Il centro della poesia è costituito ancora una volta dall’attenta annotazione degli eventi naturali. Il sopraggiungere del sole fa disciogliere la rugiada provocando, con una sfumatura quasi umana, un «piacere» che fa tremolare la terra. Ci balzano subito all’occhio i due accostamenti ossimori «tremola di piacere» e «violenze gentili», dove «piacere» e«violenze», posti rispettivamente all’inizio e alla fine della lirica, danno vita ad una pulsante contrapposizione. Anche in questo caso annoveriamo la differente scelta del verbo passando dal testo italiano a quello francese: da tremolare a sollevarsi ( «se soulever »). Nel primo caso, riferita a piacere, l’accezione sembra assumere le sfumature di un sentimento umano mentre, nel testo francese, con «se soulève» ci pare di coglierne una più meccanicistica, indubbiamente meno emozionale.
PRATO
Villa di Garda aprile 1918
La terra
s’è velata
di tenera
leggerezza
Come una sposa
novella
offre
allibita
alla sua creatura
il pudore
sorridente
di madre
PRAIRIE
La terre s’est voileé de tendres legertés
comme une épouse offre étonnée a sa créature
la pudeur soupirante d’être mère
L’osservazione del paesaggio risulta centrale anche ai fini di questa lirica. Ancora una volta scorgiamo delle sfumature umane riferite alla natura. Il paragone fra il soggetto della prima e della seconda strofa, retto dal «Come», pone sullo stesso piano la giovane donna pudica che segue germogliare la vita del proprio figlio e la tenera erbetta che, nel bel mezzo della primavera, ricopre il terreno. Tutto il componimento è caratterizzato dall’area semantica connessa alla tenerezza: mentre« velata»,« tenera»,« leggerezza» sono riferiti alla terra la giovane donna viene definita «sposa novella», «allibita», due parole che vengono isolate nello spazio, lasciate a risuonare. Questo quadro di dolcezza viene completato dalle parole «creatura», rafforzata dall’aggettivo possessivo, e dall’atto di offrire «il pudore» con quel calore che solo una madre saprebbe donare.
Nel confronto fra le due versione, segnaliamo soltanto l’uso del plurale in «tendres légértés» dove in italiano era la forma singolare «tenera leggerezza».