Ungaretti e la precarietà della vita umana
Arruolatosi volontario nella Prima Guerra Mondiale, in quella che si pensava essere una guerra lampo, Ungaretti sperimentò subito sulla propria pelle l’amarezza, il senso della precarietà umana e un vero e proprio spossamento materiale e spirituale. La vita in trincea provocò in lui un disperato attaccamento alla vita e, perennemente a contatto con la morte, un senso di solidarietà umana e fratellanza sempre crescenti.
Nella poesia ungarettiana, alla consapevolezza del dolore e alla caducità della vita si oppose il perpetuo sforzo di reagire alla sconfitta: se la vita è un eterno naufragio, l’uomo riprende continuamente il suo viaggio, procedendo in un continuo alternarsi di morte e vita, di naufragio e allegria.
Fra le poesie che meglio esemplificano questa tematica, annoveriamo Sereno (La Serénité de ce soir), Soldati e “Vie” da un lato, “Hiver” e “Prélude” dall’altro.
SERENO
Bosco di Courton, luglio 1918
Dopo tanta
Nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle
Respiro
Il fresco
che mi lascia
il colore
del cielo
Mi riconosco
immagine
passeggera
Presa in un giro
immortale
LA SERÉNITÉ DE CE SOIR
après tant de nouage une à une se dévoilent les
étoiles
je respire la fraîcheur que me lasse sur les lèvres
la couleur du ce ciel
je m’aperçois avec douce tristesse une image qui
passe
pris en un tour éternel
Il Poeta, si trova al fronte, e ripensando all’inverno appena trascorso osserva le stelle che in un cielo lindo gli si rivelano «a una / a una». Ne approfitta per riposarsi un poco, lasciandosi trasportare dalla seducente serenità di una bella notte d’estate. È l’ennesimo tentativo-aspirazione di cercare la comunione con la natura, quasi un istinto a ricercarne l’unità. Questo è essenzialmente dovuto al fatto che Ungaretti crebbe in un ambiente esotico quale quello di Alessandria, un mondo in cui il contatto umano è più stretto e di cui il pittoresco paesaggio naturale ne costituisce lo sfondo. A questa aspirazione si contrappone, tuttavia, la consapevolezza della finitezza della vita umana che altro non è che una «immagine / passeggera / Presa in un giro / immortale».
La lirica si articola in due distinti campi semantici: il primo, più esteso, costituito da vocaboli inerenti all’atmosfera (« nebbia», «fresco», «stelle», «colore del cielo») mentre il secondo è riferito alla condizione umana dove «immagine passeggera» si contrappone a «giro immortale». Le parole riferite allo spazio celeste hanno la funzione di descriverci il luogo in cui si trova il Poeta, forse in un attimo di tregua, ci offrono uno sfondo dalle tinte quasi “petrarchesche”. Ancora una volta, non mi stancherò di ripeterlo, un’ossessiva minuziosità diaristica nell’indicarci i luoghi e le date delle vicende. La condizione umana viene definita come «immagine» irrimediabilmente «passeggera» la cui fragilità è rimarcata ancor più dall’opposizione di «immortale», riferito al naturale avvicendarsi dello scorrere della vita.
Nel labor limae che conduce dal testo italiano a quello francese, assistiamo alla sostituzione di «riconoscersi» con «s’apecevoir», quando dal francese si sarebbe potuto attingere, quasi in automatico, al correlativo «se connaître». Evidenziamo,inoltre, nella seconda versione l’aggiunta di «mes lèvres» e di «douce tristesse», un’ossimoro di grande efficacia che ci segnala lo stato d’animo del Poeta.
Da un punto di vista metrico, il componimento italiano si caratterizza per un ritmo più spezzato e cadenzato mentre quello francese (costituito da distici di versi diseguali) , è più incline all’inciso, a mezza strada fra la prosa e il verso.
SOLDATI
Bosco di Courton, luglio 1918
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
MILITAIRES
nous sommes tels qu’en automne sur l’arbre
la feuille
È senza dubbio la lirica che meglio di altre esprime la caducità. Anche in questo caso il titolo entra a far parte integrante del testo, essendone un elemento fondamentale per la sua comprensione. Ne costituisce il punto di riferimento del procedimento analogico, che assimila la vita del soldato alla fragilità delle foglie d’autunno. Tutta la poesia è costituita da un complemento di paragone, retto da un verbo comune, il cui impersonale («Si sta») sottolinea una condizione di anonimato, accentuando il senso acuto di solitudine desolata e abbandono.
Il carattere del paragrafo restituisce la sensazione di precarietà e di dolore ignorati e inespressi, affidati solamente all’imminenza implacabile di qualcosa che sta per accadere. Si evince il valore tutto relativo di una vicenda esistenziale sospesa continuamente fra la vita e il nulla che emerge dalla sensibile spezzatura dei versi, intervallati da pause profonde. Con la frammentazione di tale sequenza, Ungaretti imprime un andamento perplesso e discontinuo, segno della precarietà e del dolore che investe ogni manifestazione dell’esistenza.
Metricamente, il testo francese si compone di due versi di lunghezza diseguale,mentre in quello italiano la spezzatura dei due settenari (4+3 e 4+3) definiscono una cadenza più spenta, un senso di declino e di dissolvenza maggiori.
Lessicalmente, mentre la versione italiana impiega un verbo impersonale alla prima persona singolare («Si sta»), quella francese lo sostituisce con l’utilizzo di «nous sommes», cambiando il verbo stare con il verbo essere. Questo procedimento sembra conferire una tragicità maggiore alla mise en français, sottolineando una condizione esistenziale risultante più cristallizzata a dispetto della versione italiana in cui l’accezione di precarietà di stare appare connessa alla transitorietà. Un’altra importante differenza sussiste nel passaggio dal plurale al singolare dei sostantivi: «arbre» invece di «alberi» e «fueille» invece di «foglia».
VIE
Corruption qui se pare d’illusions
La poesia si articola in un solo verso, una sorta d’inciso che assume i toni della sentenza. Il pensiero ungarettiano viene qui sintetizzato nelle due parole-poli che si trovano a inizio e fine verso. La «corruption» che si sperimenta giorno per giorno acquista la doppia valenza di disfacimento fisico e morale, nuovamente in balia del ciclo di produzione e distruzione della materia. Le illusioni di cui ci narra l’Autore nella fattispecie alludono, ancora una volta, all’allegria del naufrago, alla gioia dell’attimo immersa in un destino di sofferenza e lotta contro il dolore. Tuttavia, vista la grande influenza che ebbe il Leopardi nella sua formazione, non è escluso neppure che non si tratti di una sorta di estrema sintesi-parafrasi del Sabato del villaggio dove il verso impersonale «se pare» sembra riferirsi alle illusioni del poeta di Recanati.«Vie», in un procedimento ormai assodato, entra a far parte del titolo.
HIVER
comme un graine mon âme a besoin du
travail caché de cette saison
La lirica si fonda su una comparazione fra il grano che viene seminato d’inverno e la condizione del poeta-soldato. Lo spirito umano, proprio come il grano, richiede un lavoro accorato e nascosto per potersi ristorare e ridestare. Ungaretti avverte l’esigenza d’immergersi in una fertile e silenziosa pace in cui ritrovare se stesso e poter godere dei frutti dell’esistenza. I campi semantici della natura («graine», «travail caché» riferito a «saison»,«hiver») della condizione umana («mon âme») si fondono in un’unica parabola della precarietà dove l’«avoir besoin», riferito a entrambi, sottende a un unico destino d’ineludibile fragilità.
PRÉLUDE
un nomme j’avais gravé sur cette poussière qu’on
nomne mom coeur
un vent apassé sur ce dédert qu’on nomne ma
vie
et la poussière s’est éparpillé en nuée
La precarietà umana viene messa a nudo in tutta la sua crudezza. Il «preludio» del titolo fa riferimento all’incontrovertibile sopraggiungere del nulla, dello sgretolarsi di ogni cosa come le parole scritte sulla polvere. Tutto viene cancellato ed è passeggero, la caducità viene sottolineata con delle immagini di grande forza. La polvere su cui Ungaretti scrive il proprio nome altro non è che la metafora della vita umana, di passaggio, sempre in balia del vento (la morte) che prima o poi la spazzerà via . Ancora un ciclo di di struggimento e della natura, un’altra citazione leopardiana, quasi a richiamare il Dialogo fra in islandese e la Natura. Le parole che designano la sfera umana («mon coeur» e «vie») costituiscono i versi più brevi del componimento e, lasciate sole a riecheggiare nello spazio, sottolineano tutta la solitudine dell’esistenza umana definita un «désert» dove lamento doloroso resta tragicamente inascoltato.