"Un papa che non muore" di Gian Franco Svidercoschi

“Un papa che non muore” di Gian Franco Svidercoschi

Recensione di “Un papa che non muore” di Gian Franco Svidercoschi, un libro su Giovanni Paolo II, morto dieci anni fa.

Dieci anni fa moriva Giovanni Paolo II, il papa polacco proclamato santo il 27 aprile scorso assieme a papa Giovanni XXIII da Papa Francesco. Dalle pagine di uno dei più accreditati vaticanisti, Gian Franco Svidercoschi, ripercorriamo la vita di questo grande pontefice che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia mondiale del XX secolo.

“È il 16 ottobre del 1978. Hanno già annunciato il nome del nuovo Papa: è proprio lui, Karol Wojtyla! Si affaccia dal balcone della basilica vaticana. È emozionato, commosso, ma conquista subito tutti: «Se mi sbaglio, mi corigerete…». La domenica dopo c’è la Messa per l’inizio ufficiale del pontificato. Giovanni Paolo II alza gli occhi dal testo scritto, e ripete con forza: «Aprite le porte a Cristo! non abbiate paura!». Cambia lo scenario, siamo a Varsavia: la gioia si tramuta in lacrime, lacrime di commozione ma anche di orgoglio. La gente infiora le strade al passaggio di Karol Wojtyla.” Inizia così il libro di Gian Franco Svidercoschi “Un Papa che non muore. L’eredità di Giovanni Paolo II”, 160 pagine, Edizioni San Paolo, 2009.  Svidercoschi ha raccontato per tanti anni la Chiesa, ha scritto un libro con Giovanni Paolo II “Dono e mistero” e uno con il suo segretario, don Stanislao  Dziwisz “Una vita con Karol” e poi, “Ho conosciuto nazismo e comunismo. Karol Wojtyla, un Papa tra due totalitarismi”, “Un Concilio che continua. Cronaca, bilancio, prospettive del Vaticano II”, “L’esercito del Papa”, qui l’ex vicedirettore de l’Osservatore Romano dà voce alla gente che ha seguito e amato Giovanni Paolo II in quei tre decenni di pontificato.

Fin dal momento della sua elezione, quando aveva soltanto 58 anni, il pontificato di Karol Wojtyla si aprì sotto il segno della novità. Primo Papa non italiano dopo 456 anni, “figlio” del Concilio Vaticano II, uomo di profonda spiritualità, Giovanni Paolo II compì uno strappo al cerimoniale e si rifiutò di limitarsi a benedire la folla. Parlò direttamente ai fedeli accorsi in piazza San Pietro e segnò così l’inizio di uno stile pastorale e missionario che cambiò la Chiesa e il mondo. In un racconto ricco di fatti inediti e privati della vita del Papa, eppure capace di sondare in profondità le intuizioni e le scelte profetiche del grande Pastore della Chiesa, Gian Franco Svidercoschi presenta un’analisi lucida e appassionante dell’eredità lasciata da Giovanni Paolo II e attraverso le parole e gli atti di un pontificato storico rilancia una Chiesa coraggiosa.

“E comincia da lì, da quella visita, lo sgretolamento del muro – scrive Svidercoschi nel suo libro- I colombi puntano verso il cielo, spaventati da quei due colpi di pistola in piazza San Pietro. Sulla jeep che lo trascina via, ferito gravemente, Giovanni Paolo II ha gli occhi chiusi, ma l’espressione del viso è serena, quasi dolce, come quella di chi sa di aver messo la sua vita in buone “mani”. Ed è poi quasi uno shock vederlo in pigiama – un Papa in pigiama! – nella sua stanza all’ospedale. Per la prima volta un capo della Chiesa Cattolica entra in una sinagoga; poi entrerà in un tempio buddista, e perfino in una moschea.”

Il libro è racchiuso tra due istantanee della morte di Karol Wojtyla e ricostruisce le origini polacche del pontefice, la sua storia personale, i cambiamenti mondiali ai quali ha partecipato e dei quali è stato spesso ispiratore, le sfide del dialogo interreligioso, della pace, della santità. Poi la fragilità dell’uomo si fa notare con la sofferenza e la malattia  di Giovanni Paolo II,  che è “impedito perfino di parlare”.

“E infatti, proprio nei momenti più tormentosi, quando il corpo denunciava tutta la precarietà, tutta la fragilità del suo stato, -ricorda Svidercoschi- lui sembrava trovare dentro di sé la forza per sopportare quel lungo estenuante martirio. Era la forza del Vangelo, che si manifestava nella debolezza di quel testimone, di quell’uomo che per l’intera esistenza era “vissuto” di Dio.” E poi la sua morte. “Quel catafalco in San Pietro che suscita così tanta tristezza, tanta nostalgia, – conclude Svidercoschi- e il volto di Karol che non sembra più nemmeno il suo.” E in quelle immagini, in quel Evangelario sfogliato dal vento, scorre come in un film la trama della vita di Karol Wojtyla.