“Tempo di imparare” di Valeria Parrella
Breve recensione sull’ultimo libro dell’autrice napoletana Valeria Parrella, sul tema spinoso della disabilità, attraverso gli occhi di una madre.
Speranza, aspettativa, positività: sono questi i sentimenti che meglio descrivono lo stato d’animo di una donna in gravidanza. Come sarà il mio bambino? Di che colore saranno i suoi occhi? Come nome sarebbe meglio questo? No, forse no, non è adatto, meglio quest’altro.
Lui è tuo figlio. Non potrà mai succedergli niente di male. Lui sarà il più bello, il più intelligente, il più sveglio fra tutti i bambini.
Poi però nella tua vita piomba quella maledetta lettera, quella H associata a quello che le persone perbene si ostinano a chiamare “diversità”, quella parola dura e impietosa: handicap. Quando hai tatuato addosso il numero 104, il numero della legge sulla disabilità e vivi in un mondo fatto di sguardi compassionevoli, di “menomalechenonècapitatoame”, di medici che ti informano, con fare distaccato, che no, il tuo bambino non avrà mai una vita normale e che no, neanche tu ce l’avrai, la vita non ha esattamente il sapore della positività.
Imparare a parlare, ad allacciarsi le scarpe, a scendere le scale senza reggersi con tutte le proprie forze al corrimano diventano enormi, sudati traguardi. Ma è anche tempo d’imparare ad aspettare, imparare l’arte della pazienza, imparare ad agire, a sfogarti, a fregartene degli sguardi ricolmi di pietà che ti circondano, a lottare per una vita “normale”, per entrambi. E soprattutto imparare a capire che, probabilmente, tra i due quello che soffre di più della condizione di “diversità” sei tu e non tuo figlio. Paradossalmente lui è più forte, più sereno di te, nonostante tutto. Sei tu, soprattutto tu, a dovere conoscere attraverso gli occhiali del tuo bambino un mondo nuovo, a due dimensioni.
Tempo di imparare di Valeria Parrella è un romanzo narrato in prima persona, dove “io” e “tu” si intersecano fino a confondersi. Un libro emozionante, capace di trattare un tema come quello della disabilità non dal punto di vista, inflazionato, seppur indubbiamente delicato, di chi vive in prima persona questa condizione, ma da quello di chi in fondo, più degli altri, ne porta sulle spalle il peso: una madre.