Sulle tracce di Antonio Tabucchi
Un’anteprima del volume “Il romanzo di una scrittura, sulle tracce di Antonio Tabucchi” di Maria Cristina Mannocchi, nelle librerie nel 2016.
Il tempo qui è stato breve. Ho ritrovato Antonio Tabucchi negli ultimi anni e l’ho sentito subito come un Maestro. Prima mi ero occupata di lui ai tempi dell’università ma sempre da lontano: la vita con il suo ordine sparso, ha voluto così. Poi per dieci e più anni me ne sono quasi dimenticata, se non ogni volta che usciva qualcosa di suo, preso e riposto nell’angolo delle cose da leggere nella mia libreria, in giacenza. La vita sparge i fili e li riannoda, quando il tempo è giusto. È una cosa che devi accettare, non capire, la mente non ci arriva. La Vita sa lei come fare, punto e basta. Lei scrive, tu sei la sua penna. Così doveva essere che ritrovassi Antonio Tabucchi nel 2010 per una gita a Lisbona con la mia classe, io ormai prof. Così il Maestro avrebbe tenuto a battesimo la pubblicazione del mio primo libro sulle tempeste della vita nel tempo della sua ultima tempesta, quella che ti trascina via da qui e non vuoi e non ha senso. E poi sei da un’altra parte e abiti i sogni. Così avrei saputo della morte di Tabucchi una domenica di marzo, il giorno prima del mio compleanno e delle presentazione del mio “Tampeste e approdi”. E mi sarebbe sembrata subito una coincidenza non senza importanza. Perché la vita farà pure un po’ come le pare a lei nel riannodare e recidere i fili, ma noi possiamo giocare il suo gioco, guardarla da sotto in su, al rovescio, appunto, come diceva il Maestro. E il gioco è: ripercorri le caselle nell’ordine sparso e prova a dargli il senso di un percorso, anche se difficile, accidentato, scomodo. Il Maestro, che poi davvero sia lui a guidarti, o tu a volerlo pensare è irrilevante. L’importante è il percorso intrapreso e l’attenzione a ciò che ti accade nel compierlo. Il Maestro, o quello che tu consideri tale, è un richiamo ad alzare lo sguardo ad un più vasto orizzonte e arriva non prima e non dopo, ma esattamente nel momento in cui sei pronta a farlo. Sei te che parli con te cogliendo l’opportunità di essere altro attraverso le esperienze di un altro. È la creazione di uno spazio diverso dall’ineluttabile fisicità dei fatti, è un piccolo margine in cui sei tu a costruire ciò che avviene: o forse ti illudi di farlo, ma è comunque un bel gioco di rimandi tra te, la realtà, il mondo e qualcos’Altro .
Così, se il tempo qui di una mia pur timida confidenza con Antonio Tabucchi era stato breve, poteva sempre essere abitato con intensità e dilatato nel racconto di un viaggio sulle sue tracce. Ma quando metti i tuoi piedi sulle orme di un altro le misure non combaciano perché le tue impronte sono diverse, seguono il ritmo delle tue passioni, delle tue ansie, paure, amori. Ma intanto impari. Nel percorso sulle orme di Tabucchi ho fatto qualche deviazione, qualche sosta per capire, ho pensato più di una volta di mollare tutto e tornare indietro, quando un oscuro senso di inadeguatezza prendeva il sopravvento, quando qualcosa mi risuonava nel profondo con un tono troppo intenso da poterlo sostenere. Poi ho incontrato un’altra orma importante di quel Maestro, e anche lì dovevo proprio metterci piede, perché sarebbe servito a capire.
Ho trovato compagni di viaggio, qualcuno per breve tempo, qualcuno è ora per sempre nella mia vita. Il cerchio si è allargato, l’orma da seguire si è fatta sempre più vasta ha sfrangiato i suoi confini sino a perderli e ha ospitato riflessioni, chiacchiere, spaesamenti, malinconie, risate. Ho pensato a un certo punto che fosse un libro più da vivere che da scrivere, ma tutta questa intensità ha reclamato un suo acquietarsi nelle parole. Allora si è costruita quasi da sola la scrittura del mio andare, si è popolata di personaggi come un romanzo, di esperienze umanissime e bisognava cercare di dar conto di questi incontri con umiltà ed equilibrio, con misura e giusta distanza. E con il coraggio di dire “io”: non per un appropriazione indebita dell’altrui, ma gli altrui sono anche la nostra autobiografia come insegna Tabucchi, e non può essere che così se il viaggio su questa pallina che gira nell’universo è fatto da noi, tutti insieme.
Il romanzo di una scrittura perché l’atto di cercare delle tracce è già di per sé una storia, per quanto incompleta, parziale, per quanto in realtà di quelle orme poi alla fine non si sappia nulla. E questo basta a giustificare un narrare? Ho creduto di sì.
Così ho raccontato il mio viaggio nei luoghi della vita e della scrittura di Tabucchi, il mio incontro con persone a lui care. Pisa, Firenze, Lisbona, Parigi, le Azzore, Creta: ogni tappa un pezzo di mondo in più che ho provato a comprendere.
Per scrivere bene bisogna respirare forte, gettare lo sguardo oltre l’orizzonte, aprire le braccia e accogliere tutto quello che arriva, essere ricettori di ogni messaggio: abitano allora queste pagine sogni, mail, sms, voci comparse all’improvviso di cui non sempre è stato possibile verificarne la provenienza. Ci vuole tanta vita per dare forma alle parole e renderle davvero necessarie, insegnava Tabucchi. È non tutto quello che viviamo ha il certificato di realtà.