“Suicide Tuesday” di Francesco Leto
Recensione di “Suicide Tuesday” di Francesco Leto (Giulio Perrone Editore, 2013).
Sabato, Domenica, Lunedì e Martedì. Quattro giorni e Sergio, Matteo e Giulia a raccontare sprazzi della loro vita. Tre esistenze apparentemente distaccate tra loro, i cui pensieri si fondono in quel Suicide Tuesday che dà il titolo al libro di Francesco Leto.
Sergio, un architetto la cui figlia Camilla è “la bambina più bella che abbia mai visto” e a cui vuole lasciare una foto in cui sorride, con ancora i “riccioli folti”, prima che il tumore allo stomaco lo riduca a scheletro irriconoscibile. Camilla, giovane poetessa laureata in filosofia che rimpiange un amore a cui non ha saputo dire pienamente di sì.
E Matteo, curioso fotografo di ritratti, che parla via mail col padre morto qualche anno fa.
Con una scrittura snella, ma al contempo coinvolgente, il giovane Leto recupera e trasforma il significato comune di Suicide Tuesday, ossia l’espressione inglese che indica un progredire di stati d’animo che vanno dall’angoscia al recupero di sé dopo un fine settimana all’insegna di droghe ed alcool. Sebbene i protagonisti del romanzo non siano dipendenti né dall’una né dall’altra bensì da un forte dolore, essi attraversano tuttavia gran parte degli stadi propri dell’espressione; lo “smaltire i postumi”, la stanchezza sia mentale che fisica, l’apatia. Per giungere infine alla rassegnazione consapevole, più che alla depressione, del Martedì.
Ad immortalare la loro rassegnata consapevolezza Lara, la Zenitt 11 di Matteo, che aveva sparso per la città i suoi annunci per completare una mostra di ritratti fotografici, usata rigorosamente senza flash, per non alterare i veri colori delle cose e dei volti.
Un romanzo che ha un ritmo a sé, senza un inizio, un continuum ed una fine, ma che ben definisce un dolore -sia esso fisico come il cancro o causato da un’assenza- che, non appena “metabolizzato”, forse prelude a giorni più ricchi di speranza per i protagonisti. La frase “la morte è solo una parola”, infatti, è un po’ il regalo che alla fine i tre personaggi si fanno a vicenda (la dice Giulia a Matteo, che conforta in questo modo Sergio), affrontando questo aspetto della vita ognuno a modo suo; Sergio volendo compiere l’ultimo progetto insieme ai suoi soci, lasciando alla figlia una foto sorridente e salutando la moglie con un semplice “non ti amo più” per non doverle spiegare la sua decisione di non farsi curare. Giulia cercando di perdonarsi per non aver preso quel volo per Barcellona che forse avrebbe impedito a Federico di andare via insieme all’anno vecchio, alle prese con una foto in cui è felice, con la luce del giorno che rischiara la sua pelle chiara ancor di più, da regalare al suo amato Paolo. Ed infine Matteo continuando a scrivere mail come non mai sincere al padre morto e sognando, come fosse reale, il caffè del suo amico Robert.
Moltissime le citazioni e i rimandi letterari; dal “giovane Kafka” di “Lo splendore dei discorsi” di Giuseppe Aloe, ad Alfonsina Storni, Sylvia Plath e Murakami.
Un ottimo esordio, dunque, per questo quasi trentenne calabrese, tanto che la sua casa editrice, la Giulio Perrone Editore punta su di lui per lo Strega 2013.