Spunti da “I versi del capitano” di Pablo Neruda
Spunti da “I versi del capitano” di Pablo Neruda.
La raccolta I versi del capitano è stata pubblicata per la prima volta a Napoli nel 1952 in forma anonima; in Argentina è apparsa l’anno successivo con una nota introduttiva di Rosario Cerda, nome fittizio dietro cui si celava Matilde Urrutia, terza moglie di Pablo Neruda. L’escamotage dell’anonimato ha aperto una serie di polemiche legate al genere del libro: la critica delle più diverse ideologie lo aveva attaccato unanimemente additandolo la raccolta come “retroguardista” e a tratti volgare. Il fatto che fosse stata pubblicato senza menzionare l’autore, lo aveva resa bersaglio facile dei più acerrimi nemici del poeta, anche perché, nonostante l’anonimato, chi fosse l’autore era risultato subito evidente. Molta critica aveva deplorato il ritorno al lirismo, dopo la grande stagione civile del Canto Generale e Residenza sulla terra, interpretandolo come un maldestro e inopportuno passo indietro. Infine, la paternità della raccolta era stata riconosciuta nel 1962, con la pubblicazione delle Opere Complete, dove l’autore aveva incluso I versi del Capitano.
In un secondo momento, tuttavia, è prevalsa la tendenza a rivalutare l’opera e a vederne il senso più lirico, intimo e passionale della maturità del poeta. Se è vero, infatti che nella raccolte civili Neruda raggiunge l’apice della propria produzione, lo è altrettanto che questo impegno non venga tradito ma piuttosto filtrato attraverso gli occhi dell’amata, il luogo in cui rivive il Cile, il suo popolo e il fascino rude e affabulante dei suoi territori.
Il viaggio che il poeta cileno ci offre nel libro è un itinerario fisico e al tempo stesso interiore. Il poeta conosce le mille sfumature del carattere dell’amata, le ha investigate con calma e puntigliosità, e le offre al lettore sotto forma di versi conducendolo per mano e rivelandogli il mondo intimo e irruento della vita di coppia: “Che hai, che abbiamo/ che ci accade?/Ahi il nostro amore è una corda dura/che ci lega ferendoci/e se vogliamo/uscire dalla nostra ferita,/separarci,/ci stringe un nuovo nodo e ci condanna/a dissanguarci e a bruciarsi insieme./”
Il viaggio, infine, è geografico sia nel senso etimologico del termine che in senso lato, ove il poeta ci narra con passione, ma senza mai scadere nel cattivo gusto, della geografia fisica della donna amata che finisce per paragonare a una Piccola America. Ogni parte del corpo corrisponde a una sensazione ben precisa: il morbido girovita dell’amante rappresenta, ad esempio, la fecondità, i piedi il mezzo che li ha fatti incontrare, gli occhi sono la metafora dell’animo rassicurante e materno di Matilde, le mani la sensualità femminile, così come il seno ma con un’accezione più erotica, ma anche il mezzo di conoscenza della materia e degli oggetti. In conclusione, veniamo al sorriso, che insieme agli occhi, costituisce la fonte più intima e spirituale dell’essere uomini. Il sorriso e gli occhi appartengono allo stesso campo semantico, quello della vista, vale a dire della conoscenza estetica per antonomasia. Per Pablo Neruda il sorriso della donna amata costituisce l’incipit di ogni istante e stagione della vita, è più necessario del pane e dell’aria e rappresenta il confronto di fronte alle bruttezze del mondo e allo sconforto che talvolta può sopraggiungere: “Amor mio, nell’ora/più oscura sgrana/il tuo sorriso, e se d’improvviso/vedi che il mio sangue macchia/le pietre della strada,/ridi, perché il tuo riso/sarà per le mie mani/come una spada fresca./” I versi del Capitano sono una prova di altissimo lirismo e costituiscono il contrappeso alla vena civile del grande poeta cileno,sono l’altra faccia della medaglia che l’autore ci offre pienamente nell’età adulta e conduce il lettore a una conoscenza esaustiva a uno dei grandi classici dell’età contemporanea. Un libro veramente seducente