Silone: quale dissimulazione?
Secondo la ricostruzione di due studiosi, Dario Biocca e Mauro Canali, i documenti emersi dagli archivi negli ultimi anni a proposito di Ignazio Silone restituirebbero l’immagine di un doppiogiochista, che avrebbe collaborato per circa un decennio con la polizia fascista.
E, al contempo, era uno dei dirigenti di più alto livello del Partito Comunista clandestino.
Secondino Tranquilli (nome d’arte Ignazio Silone) nasce a Pescina, in Abruzzo, il primo maggio del 1900. Nel 1915, in seguito al terremoto di Avezzano, perde la madre e rimane solo con il fratello Romolo. I due vengono cresciuti ed educati nel collegio gestito da don Orione. Il giovane Secondino si fa subito notare, oltre che per la sua intelligenza, per l’irruenza e l’insofferenza per le ingiustizie. Presto aderisce alla Gioventù socialista, di cui diviene in poco tempo dirigente e nel 1921, all’atto di fondazione del Partito Comunista d’Italia a Livorno, è uno dei più convinti sostenitori della confluenza dei giovani socialisti nel partito fondato da Gramsci e Bordiga. Dopo essere stato redattore del quotidiano “Il lavoratore” di Trieste, dove conosce l’ungherese Gabriella Seidenfeld, a cui resterà legato per circa un decennio, per incarico del Partito si reca in diverse località estere: Germania, Spagna, Francia, Belgio, URSS. Nel 1929, per motivi di salute, ottiene un congedo dal partito e si stabilisce in Svizzera, dove attraversa anche un periodo di crisi nervosa da cui uscirà grazie alle cure psicanalitiche dello psicanalista Carl Gustav Jung.
Testimonianza dolorosa di tale crisi è probabilmente il più importante documento presentato a carico dello scrittore, una relazione inviata da un funzionario dell’Archivio Centrale dello Stato al quotidiano “la Repubblica”, dove viene pubblicata il 3 aprile 1996. Si tratta della lettera, conservata appunto all’Archivio Centrale dentro il fascicolo “Tranquilli Secondino”, che questi, con lo pseudonimo “Silvestri”, invia a una certa “signorina Bellone”. Già la collocazione, quindi, legava il documento allo scrittore; ma ogni dubbio sulla sua paternità sparisce leggendone il contenuto. Dietro il fittizio destinatario si cela Guido Bellone, commissario di Pubblica Sicurezza a Roma. Leggiamo la lettera:
[Locarno] 13 aprile 1930
Mi scusi se non le ho più scritto. Ciò che le interessava sapere non è più un mistero (la stampa già ne parla). Non so cosa io e i miei amici faremo.
La mia salute è pessima ma la causa è morale (Lei comprenderà se ricorderà ciò che le scrissi l’estate scorsa). Io mi trovo in un punto molto penoso della mia esistenza. Il senso morale che è stato sempre forte in me, ora mi domina completamente; non mi fa dormire, non mi fa mangiare, non mi lascia un minimo di riposo. Mi trovo nel punto risolutivo della mia crisi di esistenza, la quale non ammette che una sola via d’uscita: l’abbandono della politica militante (mi cercherò un’occupazione intellettuale qualsiasi). Oltre questa soluzione non restava che la morte. Vivere ancora nell’equivoco mi era impossibile, mi è impossibile. Io ero nato per essere un onesto proprietario di terre nel mio paese. La vita mi ha scaraventato lungo una china alla quale ora voglio sottrarmi. Ho la coscienza di non aver fatto un gran male né ai miei amici né al mio paese. Nei limiti in cui era possibile mi sono sempre guardato dal compiere del male. Devo dirle che lei, data la sua funzione, si è sempre comportato da galantuomo. Perciò le scrivo quest’ultima lettera perché lei non ostacoli il mio piano che si realizzerà in due tempi: primo, eliminare dalla mia vita tutto ciò che è falsità, doppiezza, equivoco, mistero; secondo, cominciare una nuova vita, su una nuova base, per riparare il male che ho fatto, per redimermi, per fare del bene agli operai, ai contadini (ai quali sono legato con ogni fibra del mio cuore) e alla mia patria.
Tra il primo e il secondo tempo ho bisogno di un po’ di riposo fisico, intellettuale e morale. Nessuna considerazione di carattere materiale ha influenzato la mia decisione. I disagi non mi spaventano. Quello che voglio è vivere moralmente. L’influenza e la popolarità che in molti centri di emigrazione ho acquisito mi inducono a concepire la mia attività futura (appena sarò del tutto ristabilito in salute) nella forma di un’attività letteraria ed editoriale del tutto indipendente. Devo aggiungere che in questo tempo, delle grandi modificazioni si vanno compiendo nella mia ideologia e mi sento riattratto, molto, verso la religione (se non verso la chiesa) e che l’evoluzione del mio pensiero è facilitata dall’orientamento cretino e criminale che sta assumendo il Partito comunista. La sola cosa che mi fa allontanare da esso con rammarico è il fatto che è un Partito perseguitato nel quale, al di fuori dei dirigenti, vi sono migliaia di operai in buona fede. Per poter esercitare un’influenza sugli elementi della base, io esito ancora ad annunciare pubblicamente la mia rottura col Partito ed attendo, prossimamente, il momento propizio.
Questa mia lettera a lei è un’attestazione di stima. Ho voluto chiudere, definitivamente, un lungo periodo di rapporti leali, con un atto di lealtà. Se lei è un credente, preghi Iddio che mi dia la forza di superare i miei rimorsi, di iniziare una nuova vita, di consumarla tutta per il bene dei lavoratori e dell’Italia.
Suo,
Silvestri
Alle tesi accusatorie e al battage mediatico che seguì e quasi sempre le avallò acriticamente, alcuni storici come Giuseppe Tamburrano, e in seguito Mimmo Franzinelli e Sergio Soave, hanno fatto notare, basandosi su una relazione del Ministero dell’Interno del gennaio 1935, citata dallo stesso Biocca, che Silone collaborò sì con la Polizia ma solo, come scrivono i funzionari governativi, “nell’intento di giovare il fratello [sic]”.
Questa, assieme ad altre relazioni, di cui parleremo, sulla vita dello scrittore, è una delle forti obiezioni mosse alla tesi accusatoria; dopo l’interruzione della collaborazione, il regime avrebbe avuto tutto l’interesse a screditare Silone (che dall’estero attaccava il fascismo con i suoi libri, tradotti in numerose lingue), mostrando le informative da lui inviate nel corso degli anni. Ciò avrebbe non solo smascherato lo scrittore presso gli ambienti antifascisti, ma messo in pericolo la sua stessa vita. Ce ne possiamo fare un’idea leggendo l’informativa, pubblicata da Biocca (Nuova Storia contemporanea, II, 3, 1998, p. 75-6).
Biocca e Canali rispondono che le relazioni del Ministero tacciono la collaborazione di Silone perché a esserne a conoscenza era solo Bellone, con cui lo scrittore, come emergerebbe dalle lettere, avrebbe intrattenuto un rapporto particolare. Ma da quello che scrive lo stesso Biocca, si ricava che a conoscere la collaborazione di Silone erano “il capo di Polizia … l’ispettore Francesco Nudi … Guido Leto… Di Stefano…Bertini… Marzano… De Bono” e il funzionario che annota il documento n.7, cioè altre otto persone.
Si faceva riferimento prima all’arresto del fratello di Silone, Romolo Tranquilli. Egli era stato infatti fermato il 13 aprile 1928 e accusato dell’attentato alla Fiera campionaria di Milano in cui morirono otto persone. Ecco il motivo per cui, secondo gli innocentisti e secondo quanto riportano le stesse fonti governative riportate sopra, Silone si sarebbe convinto a collaborare con la Polizia. Alla relazione del 1935, citata sopra, se ne aggiunge un’altra del 1937 in cui si ribadisce la motivazione di carattere familiare e si evidenzia la genericità delle informative inviate (“In tale periodo diede a vedere [c.n.] di essersi pentito del suo atteggiamento antifascista e tentò qualche riavvicinamento con le Autorità italiane mandando, disinteressatamente, delle informazioni generiche circa l’attività di fuorusciti. Ciò fece nell’intento di giovare al fratello…”) e una, di due anni dopo, in cui il Ministero dell’Interno chiese non dettagli generici ma “qualche eventuale episodio della vita privata del predetto allo scopo di poterlo squalificare all’estero”. Ma l’OVRA, che dovrebbe avere decine di informative della spia-Silone, risponde che a carico dello scrittore “non sono emersi episodi di vita privata tali da poterlo squalificare all’estero”. È credibile ritenere che ciascuno tacesse per coprire l’intellettuale abruzzese precludendosi la riconoscenza di Mussolini e, soprattutto, esponendosi al rischio che qualcuno la notizia la passasse comunque e mettesse gli altri in una posizione poco sostenibile di fronte a Mussolini? In più, nel dopoguerra, quando sia Nenni che Togliatti parteciparono al governo e fecero parte dell’Alto commissariato per l’epurazione, possibile che non s’imbattessero mai nel nome di Silone-Silvestri? E soprattutto: dato che in molti (circa una decina) fra i funzionari dell’ex polizia fascista, ora in cerca di una verginità politica, erano a conoscenza della collaborazione di Silone, è verosimile che nessuno, per ingraziarsi questo o quel rappresentante del nuovo regime democratico, rivelasse il segreto?
Se queste considerazioni di carattere generale sollevano dubbi non lievi sulla credibilità della tesi accusatoria, anche l’esame dettagliato delle informative rese note da Canali e Biocca in due pubblicazioni successive (la prima, riassuntiva, del 2000; la seconda, di carattere biografico, del 2005) rivelano errori, sviste e addirittura manipolazioni che paiono inficiare alla radice tutto il castello accusatorio, almeno con i documenti per ora disponibili.
Ma prima di affrontare l’analisi dettagliata di tali documenti, analisi necessariamente veloce e riassuntiva in questa sede, alcune considerazioni di carattere metodologico s’impongono anche qui.
Biocca e Canali, infatti, estendono adesso la collaborazione di Silvestri-Silone a 5 anni precedenti il primo documento firmato Silvestri, facendola cominciare dal 1923, ipotizzando in seguito, pur in mancanza di riscontri documentari, addirittura una datazione iniziale più alta, il 1919. Quest’ipotesi, per documenti che sono privi sia di mittente che di destinatario, si basa su presunte coincidenze fra le date e i luoghi segnalati nei rapporti e gli spostamenti di Silone che, come abbiamo ricordato, dopo aver lasciato Trieste, si trova prolungatamente all’estero. Ma tale criterio è esilissimo. Infatti nei luoghi segnalati, specie in Francia e in Germania, si trovavano migliaia di comunisti che avrebbero potuto inviare quelle informative. In Francia, ad esempio, alla fine del 1924 le stime parlano di 5000 aderenti al partito (Simonetta Tombaccini, Storia dei fuoriusciti italiani in Francia, Milano, Mursia, 1988, p. 9) e Berlino, come ammettono sia Canali (p. 40) che Biocca (p. 86), pullula di comunisti. Per non parlare dei poliziotti: Bertini, Nudi, ecc.
Inoltre, in tali informative, a volte non viene indicata la città, ma solo il Paese: “da un informatore che si trova in Francia” e, poiché Silone si trovava a Marsiglia, il documento viene senz’altro attribuito a lui, anche se l’informativa poteva provenire da Parigi o Lione. Si aggiunga che invii da Berlino sono documentati sia prima dell’arrivo di Silone che dopo la sua partenza dalla città tedesca.
Anche il criterio temporale può rivelarsi fallace: quando la Questura di Roma, con cui Silvestri-Silone dialogava tramite Bellone, riceveva le informative (che oltre a essere prive di mittente, spesso mancavano anche di data), a volte riassumeva o trascriveva il contenuto di diversi documenti, che quindi potevano avere diversa datazione, in un unico rapporto che inviava poi alla Divisione generale. Da un esame approfondito svolto da Gianna Granati risulta inoltre che quasi tutte le informazioni ricevute dalla Questura di Roma fino a tutto il 1926, se seguiamo il criterio dei due studiosi, provengono da una sola fonte: Silone. È verosimile che una questura importante come quella romana avesse, per gli anni in questione, poco più di un informatore? Il fatto è che tali informative vanno attribuite a diverse mani, come dimostra ad esempio l’uso alternato, in queste carte, del tu/Lei rivolto, secondo quanto sostengono i due autori, all’unico destinatario, Bellone (ricordiamo che nella lettera dell’aprile 1930 con cui Silvestri interrompe la sua collaborazione, si usa il Lei); o come prova la diversa, diciamo così, competenza dell’autore delle missive: ad esempio Carlo Pozzoni viene indicato in una lettera come “Prof. Pozzuoli (Cremona)”, in una seconda, correttamente, “Pozzoni di Como” e in una terza, successiva, “Pozzoli di Cremona”. Diversi mittenti bisogna poi dedurre dall’invio di diverse informative, in un intervallo ristrettissimo e da luoghi distanti.
Ci serviamo di questa inverosimile multipla attribuzione per passare all’esame ravvicinato di questi documenti, che vanno dal 1923 al 1928 e che, ribadiamo, sono privi di mittente, di destinatario e spesso anche di data. Canali (p. 192) attribuisce a Silone un documento proveniente “da un fiduciario residente in Spagna” senza data, ma inviato dalla Questura al Ministero degli Interni, il 25 novembre 1923. Ammessa l’attribuzione (Silone è in Spagna dal 28 aprile 1923 al febbraio 1924), ma non concessa (come detto, poteva trattarsi di un altro comunista, o di un poliziotto), cade necessariamente l’attribuzione di altri due documenti, uno trasmesso lo stesso giorno dalla Questura che lo dice venire “da un fiduciario che è in Francia”; l’altro trasmesso il giorno dopo, inviato da un fiduciario “attualmente in Belgio”. Invece tutti e tre vengono attribuiti a Silone. Il secondo documento tra l’altro non poteva essere di Silone dato che, inviato dalla Francia, era stato trasmesso dalla Questura alla Direzione Generale il 25 novembre 1923, mentre, come c’informa correttamente lo stesso Biocca (L’informatore, p. 87) Silone arriva in Francia all’inizio del 1924.
Illogica ci sembra l’attribuzione del documento 7 del 18 febbraio 1923. Canali sostiene che il “T.” di cui si parla è Tranquilli, che poi è lo stesso che invia l’informativa. La Questura commenta con una nota: “Se costui [T.] verrà saremo in grado di conoscere tutto”. Ma se “T.” e l’informatore sono la stessa persona, perché solo se “T.” verrà “saremo in grado di conoscere tutto”?
Un errore vizia anche l’attribuzione del documento in Tamburrano (p. 120), che segnala il rientro di Mario Lanfranchi dalla Francia. Ma in realtà l’anonimo dietro cui i nostri autori vedono Silone è il commissario Sabbatini, come si ricava da Acs, Ps 1925, b. 130 (Granati-Isinelli).
Nella lettera anonima del 25 febbraio 1930 inviata da Lugano, il mittente domanda al destinatario se “può essere qui fino al principio di marzo”. Biocca e Canali ne deducono che chi scrive, identificato in Silone, chieda al “commissario Bellone un incontro urgente a Lugano”. Ma a parte il fatto che l’identificazione del destinatario con Bellone non può evincersi da alcun elemento, “essere qui fino al 25”, significa “restare qui”, cioè a Roma. Poiché la lettera è del 25 febbraio, forse per l’uno di marzo essa è arrivata a Roma. Come fa Bellone a chiedere e ottenere il permesso del viaggio, e trovarsi per i primi di marzo a Lugano? Tanto più che nella lettera il mittente scrive: “Per rispondermi, attenda la lettera seguente”.
Anche la lettera del 25 novembre 1927 è assegnata a Silone senza fondamento. Sul margine della lettera è scritto “Belloni”, nome che è servito ai nostri autori per collegarlo al commissario Bellone e quindi, con passaggio automatico, a Silone. Ma si tratta in realtà di Claudio Belloni, spia conosciuta, il cui nome è pubblicato nel dopoguerra sulla Gazzetta Ufficiale.
L’analisi linguistica, poi, rivela non poche incongruenze con la paternità siloniana. Il caso più eclatante è lo storpiamento del nome del famoso rappresentante del Komintern Dmitrij Manuil’skij, certamente noto a un dirigente come Silone. Il suo nome cambia continuamente e non raggiunge mai la forma corretta: nell’informativa del 15 febbraio 1923 si legge “Manonilsky” (Biocca-Canali, p. 160-1); in un’altra del 2 aprile 1923 leggiamo: “Tal Manoliski o Manoniliski” e addirittura capita che in una stessa lettera, quella da Berlino del 27 marzo 1923 (BC 176), siano compresenti due forme diverse: “Manonilsky” e “Manonilisky”. Ora se, come ha rilevato qualcuno, a quei tempi non si aveva molta cura per la grafia dei nomi stranieri, ci pare che questo non potesse andare a scapito anche della pronuncia, come succede per le forme citate. In ogni caso, ingiustificabile sarebbe, nel linguaggio di Silone, la forma “Tal Manoliski”, come si trattasse di uno sconosciuto.
Altre missive rivelano un’ignoranza impensabile in un esponente di primo piano del Partito come Silone. Nel documento 9 (T. 121) il mittente scrive che non sa esattamente dove si sia tenuto il Convegno nazionale del partito, “mi consta abbia avuto luogo a Milano”. Il convegno si tenne invece a Como. Il fatto è che esso restò segreto alla polizia: si veda Paolo Spriano (Storia del Partito Comunista Italiano. I: Da Bordiga a Gramsci, Torino, Einaudi, 1976, p. 352): “il prefetto di Como assicura che nella sua provincia non c’è traccia di riunioni comuniste”. Più giù si cade in un altro grave errore dando Togliatti come leader del Centro del Partito invece di Gramsci. Sono pensabili tali errori in Silone? Nel documento 1, poi, del gennaio 1923, si annuncia la fusione tra Pc e Ps: fatto lontanissimo dal vero e infatti mai verificatosi. Altri errori nel doc. 13, dell’ottobre 1924, dove leggiamo: “da due anni non vi è stata una consultazione nel partito”. Da due anni? Ma nel maggio, a Como come abbiamo detto, c’era stata la Conferenza dei segretari della federazione, una vera consultazione del partito. Più avanti, inoltre, si usano espressioni tipicamente fasciste, come “marea bolscevica” e si definisce curiosamente Amadeo Bordiga, fondatore del PC, come “anarchico”.
In questi ultimi casi l’autore è verosimilmente un funzionario di polizia, non particolarmente “informato”. In questa stessa direzione ci conducono alcune espressioni presenti in altri documenti attribuiti dai due studiosi a Silone. Ad esempio nel doc. 10: “Contro il Longo v’è mandato di cattura”, informazione che solo un poliziotto poteva conoscere. Nel doc. 25 abbiamo una palese comunicazione interna, come mostra lo stile: “allegato alla lettera di codesta On. Direzione Generale”, formula che infatti leggiamo anche nella già citata relazione, datata gennaio 1935, della Divisione politica alla Divisione Affari Generali e Riservati (Tamburrano, p. 131).
Per rafforzare l’idea dell’abile dissimulatore, non si esita a volte a mettere in dubbio le testimonianze autobiografiche dello scrittore, che nell’articolo pubblicato ne “La Fiera Letteraria” del 4 marzo 1956 intitolato “Primo incontro con Dostoievski”, racconta della sua carcerazione in Spagna, a Barcellona: periodo che definisce “tra i più belli della sua vita”, in compagnia di altri detenuti rivoluzionari, “uomini magnifici”. Silone ricorda tra l’altro di aver letto lì, per la prima volta, Dostoevskij. Biocca (pp. 76-7) nota: 1) che Silone scrive d’aver collaborato con la rivista anarchica La Batalla, ma “non si è rinvenuta alcuna corrispondenza a firma Silone”; 2) “le procedure della polizia spagnola, inoltre, non consentivano ai cittadini stranieri in attesa di estradizione di dividere la cella con prigionieri condannati a morte”; 3) “desta stupore che la detenzione potesse comunque generare ‘felicità’”; 4) che “appare infine improbabile che il medico del carcere, che nel ricordo di Silone era a sua volta un detenuto, disponesse dei romanzi di Dostoevskij in traduzione italiana”.
Ci si chiede quale articolo abbia letto Biocca. Osserviamo infatti che in nessuna parte di questo testo Silone scrive d’aver collaborato a La Batalla; anche se, tuttavia, vi collaborò, come nota Soave (p. 48, n.73) con una intervista del maggio 1923 e un articolo pubblicato il 22 febbraio 1924; Biocca mette in dubbio non solo la testimonianza di Silone, ma, implicitamente, anche quella – citata dal suo stesso collaboratore Canali (p. 47. n.30) – dello studioso Victor Alba, biografo di Andreas Nin, rivoluzionario spagnolo, assiduo collaboratore della rivista: (n. 2) “Por esa epoca estuvo en Madrid un italiano enviato por Moscu para ayudar a crear el Socorro Obrero Internacional, Dino Tranquilli. Detenido, escribiò desde la carcel algunos articulos para “La Batalla”, que firmò con el seudorimo de Ignazio Silone”. Silone, poi, non scrive di dividere la cella con alcuno: infatti, leggiamo “per aiutarci a sopportare le lunghe ore del pomeriggio e della sera, che ognuno di noi doveva trascorrere nell’isolamento della propria cella”, e prima aveva precisato: “La complicità del medico [anch’egli detenuto] […] mi permetteva di passare tutta la mattinata con quel ragazzo nel gabinetto sanitario. Il medico aveva semplicemente comunicato alla direzione che la nostra salute richiedeva un controllo giornaliero”. Per quanto riguarda la “felicità”, termine assente dall’articolo (Silone scrive: “Comunque tra i più belli [anni] della mia vita”), in ogni caso non suscita alcuno stupore; nel Memoriale dal carcere svizzero (Falcetto, I, 1411) Silone aveva scritto: “Forse il carcere, per il mio spirito, è il luogo più propizio”, giudizio confermato anche dalla corrispondenza privata: “il mio soggiorno in carcere è stato per me un tempo di vacanze. I giorni passano rapidamente e neppure mancano le distrazioni […] Certamente sono state le mie più piacevoli e proficue settimane del 1942” (Zentralbibliothek Zürich, Fondo Humm, lettera di S. a R. J. Humm del 29 dic. 1942). Infine, lo stupore di Biocca sul Dostoevskij in traduzione italiana in un carcere spagnolo sarebbe fondato, se l’articolo non parlasse, in realtà, di “vari volumi di Dostoevskij in traduzione francese” (Falcetto, II, 1246).
Accade persino che vengano operate delle manipolazioni. Nel primo saggio d’apertura di Biocca su “Nuova storia contemporanea” (1998, p. 88), le frasi “lunga e leale collaborazione con la Polizia politica” e “assistere il fratello detenuto” vengono virgolettate e così attribuite a Silvestri-Silone, senza che questi le abbia mai scritte.
Da parte innocentista, infine, ricordiamo, per completezza, che è stata avanzata l’ipotesi che Silone facesse il doppiogioco per incarico del Partito comunista, che così poteva meglio conoscere le tattiche della polizia. Ma a parte l’assenza finora di riscontri documentari, tale ipotesi sembra confliggere con le frasi della lettera di rottura dell’aprile del 1930, in cui Silone parla di “falsità, doppiezza, equivoco”, “riparare il male che ho fatto”.
BIBLIOGRAFIA (ragionata)
Sulla biografia di Silone si veda innanzitutto Falcetto Bruno, Cronologia, in Ignazio Silone, Romanzi e saggi, Milano, Mondadori, [I Meridiani],Vol. I, 1927-44, a cura di Bruno Falcetto , pp. LXVII-CV. Una biografia sintetica ma di ottimo livello fino al rientro in Italia nel 1944, offre Weder Thomas, Ignazio Silone – Agitation und Literatur in der Schweiz, in AA. VV., Prominente Flüchtlinge im Schweizer Exil, Bern, 2003, pp. 16-61.
Sulla questione di Silone-spia si veda Biocca Dario, Ignazio Silone e la polizia politica. Storia di un “informatore”, [primo articolo scientifico sulla materia; conserva ancora un certo equilibrio] in “Nuova Storia Contemporanea”, II, 3, 1998, pp. 67; Id., “Tranquilli (nell’ombra)”: Ignazio Silone in Francia, ibidem, III, 3, 1999, pp. 53-76 [sulla presunta collaborazione di Silone dalla Francia]; Canali Mauro, Il fiduciario “Silvestri”, ibidem, III, 1, 1999, pp. 61-86; Biocca Dario – Canali Mauro, L’informatore: Silone, i comunisti e la polizia, Milano, Luni, 2000 [volume riassuntivo; in due appendici pubblica, attribuendoli senz’altro a Silone, i documenti dal 1923 al 1927 provenienti dall’estero]; Biocca Dario, Silone. La doppia vita di un italiano, Milano, Rizzoli, 2005 [si risale ancora con la datazione della collaborazione; si ignorano le obiezioni di Tamburrano, Granati e Isinelli; si delinea un profilo di incallito doppiogiochista sulla base di un procedimento indiziario]. Inaffidabile e costellato di errori Gorgoglione Luigi, Il rosso e il nero. Il nuovo “caso”Silone, in “Critica letteraria”, 118, 31, 2003, pp. 135-59.
Degli innocentisti si vedano Tamburrano Giuseppe – Granati Gianna – Isinelli Alfonso, Processo a Silone. La disavventura di un povero cristiano, Firenze, Lacaita, 2001 [volume diviso in due parti: discorsiva la prima (di Tamburrano), condivisibile ma a volte viziata da eccessiva enfasi; basata su approccio scientifico e sull’analisi delle singole informative la seconda (Granati e Isinelli)]; Soave Sergio, Senza tradirsi, senza tradire. Silone e Tasca dal comunismo al socialismo cristiano (1900-1940), Torino, Aragno, 2005 [biografia “parallela” di ottimo livello, riprende le motivazioni di Tamburrano e altri, scremandole dai toni direttamente polemici e rettificando qualche inesattezza: sulla base della documentazione disponibile non si può andare oltre alla tesi che S. collaborò per salvare il fratello. Dunque dall’aprile 1928 all’aprile 1930].
Si vedano inoltre Franzinelli Mimmo, Così fan tutti, in “L’indice”, gennaio 2005, a. XXII [rec. a Canali Mauro, Le spie del regime, Bologna, Il Mulino, 2004] e Soave Sergio, Un silenzio assordante, ibidem, luglio-agosto 2005, anno XXII [rec. a Biocca Dario. Silone, cit.].
Fonti d’archivio
Archivio Silone (Pescina), Carte Peter Kamber.
Zentralbibliothek Zürich, Sezione Manoscritti, Fondo Humm, 39.5.
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