Samuel Beckett: il genio del “teatro dell’assurdo”
Divagazioni intorno a Samuel Beckett e al suo capolavoro: “Aspettando Godot”.
La popolarità di Samuel Beckett, nato a Dublino (1906-1989), viene rapportata a molte opere teatrali facenti parte del “Teatro dell’assurdo”, insieme a Eugene Ionesco e Arthur Adamov.
Tra le attività di Samuel Beckett, vincitore di un Premio Nobel mai ritirato, c’è anche un lavoro come segretario per il grande scrittore irlandese James Ioyce.
Il suo capolavoro, quello che raccoglie tutte la sua ideologia, è rappresentato nel testo “Aspettando Godot”, una delle opere teatrali più significative del Novecento. La commedia venne dapprima scritta in francese, in seguito tradotta in inglese dallo stesso autore. Sin dalle prime rappresentazioni riscosse un enorme successo.
Sembra che la parola GODOT sia l’unione tra GOD (Dio) e OT, simile alle due lettere finali di Charlot – Charles Chaplin –, attore amatissimo da Beckett per le sue gag e per i suoi film.
Non solo questo è il significato della parola Godot.
Alcuni parlano di un piccolo episodio che vede lo scrittore tenere una conversazione con un regista, tale Roger Blin, al quale Beckett avrebbe riferito, non è chiaro se per depistarlo o chiarirgli le idee, che questo nome derivasse dal gergale francese “Godillot” (stivale), poiché i piedi assumono, insieme alle altre gestualità, nella commedia in particolare, un significato ben delineato.
“Aspettando Godot” è stata definita una “tragicommedia.” Ma perché tragica e perché commedia? La risposta è stata cercata da molti critici che ne hanno studiato le diverse chiavi di lettura per poter interpretare questo capolavoro.
L’uso della parola “tragica” può essere rapportato al significato di vita molto profondo e toccante.
Il particolare lessico si riassume nei silenzi e nelle lunghe pause che intercorrono tra un dialogo e l’altro; dialoghi peraltro, molto brevi, ma pregni di incisività.
Il silenzio e le pause sono per Beckett il chiaro esempio dell’incapacità dell’uomo di comunicare con i suoi simili.
La scenografia è molto spoglia: un albero un lampione sono sufficienti per offrire la pienezza delle parole e centrare l’attenzione su di esse e sulla loro irrealtà.
I personaggi sono persone sospese nel tempo, incapaci di muoversi e di affrontare la vita basata sull’attesa: non a caso, la commedia è stata definita un’incredibile commedia dell’attesa.
Il destino, altro elemento da non disconoscere, è qui disegnato come punto interrogativo, legato all’attesa di Godot, che forse cambierà la vita dei due protagonisti.
Subentra improvviso, ma inevitabile nel contempo, l’elemento della delusione, tanto da far pensare i due protagonisti al “suicidio”, come atto estremo di una snervante inutilità dell’esistenza.
Nella commedia, si fondono identità e memoria: i due uomini che calcano la scena dall’inizio alla fine della pièce teatrale, si chiedono chi siano, se gli stessi dei cinque minuti appena trascorsi o del minuto precedente, ricordando il loro passato (vivono insieme da circa 50 anni).
I ricordi fanno parte del ricco bagaglio di valori umani che Beckett approfondisce, dipanando il suo pensiero.
L’assoluta assenza del protagonista è la geniale trovata della commedia, gli spettatori si trovano nelle stesse condizioni dei personaggi, quella di attendere. Ma chi stanno attendendo? Godot o quella quotidianità, che passa attraverso la speranza del domani?
Speranza, parola ricorrente e portante della vita, altro contenuto, dimostrabile sia al termine del primo che del secondo atto, quando il sipario cala sui due protagonisti, ma incredibilmente essi rimangono fermi, con i piedi incollati alla scena, similitudine che si ripete in noi, in attesa che ci venga dato qualcosa che non sia una semplice speranza.
I personaggi sono cinque, ma in realtà sono solo due i veri protagonisti: Vladimiro detto “Didi” ed Estragone detto “Gogò”. Il primo a rappresentare la fiducia, il coraggio, colui che sa spronare il compagno a non mettere fine alla sua vita, perché fiducioso della venuta di Godot. L’altro, poeta, sognatore, è un debole, un incredulo che cerca il suicidio come alternativa a una vita da cambiare, trascinata da aspettative inutili.
In questa commedia vive la presenza di un bambino che fa la sua comparsa solo quando deve avvisare che Godot verrà il giorno dopo. Questo fanciullo è stato identificato come il “Messia” che annuncia il suo arrivo, non lo nega, ma neppure lo conferma.
Confusione alta può definirsi all’alzata del sipario di questa performance, che continua e rispetta la sua condizione di “assurda”, anche attraverso gli altri personaggi: Pozzo e Lucky che vivono una condizione sociale totalmente diversa e agli antipodi della loro prima comparsa: il primo diventa cieco e il secondo sordo.
Questa l’evidenza della posizione sociale dell’uomo e come il tempo stesso possa cambiare o capovolgere il destino.
Filosofia della fragilità, della precarietà vitale che può avvolgere tutti indistintamente, una realtà schiacciante a cui far fronte, poiché Godot non verrà. La rinuncia, come altro tema essenziale, invade i protagonisti e viene sottolineata dalla presenza dei protagonisti e dalla loro ferma decisione di non andare via dalla scena.
L’immobilità delle loro figure dà modo di pensare al ritorno di una “speranza” in arrivo.
Cosa si trova di “assurdo” in “Aspettando Godot”?
La tragicommedia è costruita intorno alla condizione dell’attesa, inserendo l’umano di qualunque connotazione politica sociale e storica, in un romanzo il cui mito parla della luce intesa come speranza. In Godot si cerca Dio, il destino, la morte e la fortuna.
Gli stessi personaggi rappresentano simboli della forza poetica del testo.
L’espressione ripetuta più volte nella commedia si riassume nella chiave dell’attesa avvolta dal passare del tempo, ma anche rivolta verso il tempo futuro.
In “Aspettando Godot” sono di rilevante importanza oltre la trama e i suoi significati, le pause, i silenzi, i ritorni inconcludenti:
Come nasce “Aspettando Godot”?. Nel periodo in cui Samuel Beckett scrive la commedia, muore sua madre, trova difficoltà nell’avere dei finanziamenti per mettere in scena l’opera e, da ultimo l’autore deve trovare un momento di pausa dalla lavorazione della famosa trilogia “Molloy”, “Malone muore” e “L’innominabile”.
Il linguaggio della commedia è il veicolo più importante, rapido e breve, si accosta a lunghe pause che spingono l’ascoltatore a riflettere sui suoni e sui silenzi come forme di comunicazione che ricorda l’astrattismo in pittura.
Se lo stesso Samuel Beckett disse, parlando della commedia, che “se avesse saputo chi fosse Godot, l’avrebbe scritto nel copione”, è davvero importante scoprirlo? Credo proprio di no.