“On the road with Bob Dylan” di Larry Sloman
Recensione di “On the road with Bob Dylan” (Minimum Fax, 2013) di Larry Sloman. Il resoconto del “Rolling Thunder Revue”, la tournee di Bob Dylan che ha cambiato la storia della musica.
Il mito della strada, del viaggio on the road americano, mi prese in adolescenza con i libri della Beat Generation, con quella generazione letteraria “sbattuta e beata” che va da Ginsberg a Kerouac; con la cinematografia maledetta degli anni sessanta-settanta (Easy Rider) e con la musica di quello stesso periodo ascoltata con l’ossessione e l’avidità di chi, per età, ha nel sogno di andarsene la sua necessità prioritaria.
Il Rock però nelle mie cuffiette dell’ei fu walkman ci arrivò per vie traverse: dalla via Emilia, attraverso l’ascolto compulsivo di Guccini che ad esso rimandava gran parte della sua mitologia, e da mio zio, mio vero iniziatore alla Musica Vera che nel 1998 decise di regalarmi, io ancora sedicenne, i biglietti per assistere al concerto di Bob Dylan in una location più che mai anomala, le scalinate del Palazzo della Civiltà italiana – Colosseo Quadrato per noi romani – all’Eur.
Il cantautore di Blowing in the Wind, in quell’anno, presentava il bellissimo Out of mind – album non sempre inserito tra i suoi capolavori ma che, a mio avviso, rappresenta al meglio il clima di fine secolo di quel tempo – mi apparve come un’epifania e mi obbligò a convertire la mia conoscenza superficiale della sua opera in un qualcosa di più attento e completo.
Come se non fosse bastato Woodstock a farmi sognare di tornare indietro nel tempo e anticipare di qualche anno, magari due o tre lustri, la mia nascita mi imbattei su una biografia di Bob Dylan che parlava, in maniera entusiastica, di «Rolling Thunder Revue», una tournee considerata come una tra le più incredibili della storia della musica mondiale.
Il libro On the road with Bob Dylan (Minimum Fax, 2013), diario di quella tournee curato da Larry Sloman, uscito in Italia poco prima di Natale e divorato in pochissimi giorni, l’avrei voluto leggere anni fa perché sicuramente avrebbe soddisfatto e appagato la sete di “canoscenza” di quegli anni.
Si tratta infatti di uno dei testi migliori usciti sulla figura di Robert Zimmerman, alias Bob Dylan, che riesce in maniera avvincente e minuziosa a prenderci per mano e a condurci in quel fatidico millenovecentosettantacinque.
Erano gli anni di Blood on the Tracks e Desire, della canzone che si faceva oltre che denuncia, narrazione, fino a tracciare i contorni della leggenda. Una musica graffiante ad abbracciare il lirismo dei testi, come a creare il solco della vera poesia. E in quel solco Bob Dylan pensa bene di coltivare qualcosa di irripetibile facendosi accompagnare nel suo viaggio verso il mito (in pieno fermento creativo) da altri grandissimi della musica (Joan Baez, Joni Mitchell, Arlo Guthrie, Ramblin’ Jack Elliott) e dal poeta Allen Ginsberg il cui poemetto, Urlo, letto per la prima volta nel ’55, stava già scuotendo le coscienze di tutti gli americani. Larry «Ratso» Sloman, allora giovane inviato di Rolling Stone, che ebbe la fortuna di seguire e documentare le tappe di quel tour in giro per l’America, ci fa rivivere in quei momenti e ci descrive, oltre ai concerti, le sensazioni, gli aneddoti e gli aspetti meno conosciuti.
Tutto appare come un catalogo di ricordi, poco importa che siano interviste, chiacchierate tra amici, litigi, ricordi (come la scena commoventi della visita alla tomba di Kerouac). Sloman diventa testimone privilegiato e regista delle nostre emozioni. Ci fa divertire, ci commuove e, soprattutto, ci regala la possibilità di partecipare a posteriori a un viaggio a cui avremmo voluto partecipare, a una stagione che avremmo voluto partecipare, a un’aria che avremmo voluto respirare.