«Rive» di Valerio Mello
Recensione di «Rive» (Ensemble, 2022) di Valerio Mello. Articolo di Gianluca Minotti.
«Dalla torre cangiante / mai la terraferma».
Rive di Valerio Mello, (Edizioni Ensemble, 2022), nasce dal tentativo di dire il viaggio che noi tutti siamo, nonché dall’interrogativo su come sia possibile declinarlo in scrittura. Ecco perché nei componimenti, poesia e prosa si lambiscono l’una con l’altra senza che sia possibile distinguerle. Esattamente come, sembra volerci suggerire Mello, i luoghi sono inseparabili da noi che li percorriamo. Noi che siamo al contempo poesia e prosa.
Milano, Agrigento, Amorgo, Varazze, Porto Venere, Scarpanto, Amsterdam, Delo, Paro, Bologna, La Gomera: resta un’immagine di noi nelle città che abbiamo attraversato. Una traccia indelebile, l’eco di una conversazione, un gesto, un pensiero, e non siamo noi che osserviamo: è ciò che è intorno che ci osserva. I platani, gli ippocastani, le grondaie, il merlo, la piramide celeste, il frammento di vetro, «la lampada che ondeggia tra la parete e il cerchio di luna»: ogni cosa è rallentata, sospesa tra veglia e sonno, tra realtà e visione. Non esiste in sé stessa. E questo è il motivo per il quale nei componimenti di Mello non ci sono descrizioni oggettive, al di fuori, date una volta e per sempre, perché l’io che si interroga è a sua volta l’oggetto dello sguardo ed è colto nel suo infinito viaggiare, sia fisico (lo spostamento del corpo), sia interiore.
Frammento dopo frammento, è a causa delle rifrazioni di luce, del susseguirsi delle sere, delle impronte lasciate sulla sabbia, del riflesso di uno specchio, dell’utilizzo, a volte, della prima persona plurale che non stempera però il sentimento della solitudine, che pian piano le rive collassano l’una sull’altra, e non sappiamo più dove siamo: nel mare o sulla terraferma, quasi l’autore volesse dirci che ogni proiezione di noi coesiste fuori dello spaziotempo. Dove si contrae e si estende a dismisura la distanza fra l’anima e il suo resto.
Gianluca Minotti