“Riso avaro” di Marco Gaucho Filippi
Recensione di “Riso avaro”, e-book uscito per “L’Espresso”, di Marco Gaucho Filippi.
È difficile recensire oggi, dopo i fatti tragici di Parigi, un libro di vignette e di satira. Ancora più difficile è se il sentimento politico che ti (mi) circonda è di una profonda, amara, apatia.
Persino schernire i politici è diventato noioso, di questi tempi. Manca il contraltare, il positivo, il punto di riferimento inossidabile.
Fare satira oggi, per gli autori intelligenti, deve essere difficile, difficilissimo.
Troppo facile cadere nel banale, nell’ovvio, nel politicamente corretto.
Se da un lato prendere in giro la nostra classe politica è come sparare sulla croce rossa, dall’altro è però anche un rischiosissimo esercizio di stile.
Con questa idea in testa mi sono trovato a leggere questo libro, Riso avaro. Un anno di vignette, del bravo Marco Gaucho Filippi, uscito in e-book all’interno di una collana dell’Espresso, che ho il piacere segnalare per i tanti meriti che si porta dietro.
Il volume di questo giovane vignettista di talento è una raccolta di circa 120 vignette selezionate tra le tante pubblicate l’anno scorso sul blog di satira di Marco Gaucho Filippi ospitato da “L’Espresso”. Un blog che non conoscevo e che ora seguo con assiduità perché merita davvero di essere letto.
Il 2014 è stato un anno incredibile per l’Italia che si è ritrovata, in piena crisi economica, sotto la “croce” (la delizia?) di un patto tra due dei principali partiti (in realtà il primo partito dopo le elezioni era l’ei fu Movimento 5S) fino a quel momenti nemici “giurati”.
È l’anno della definitiva ascesa di Renzi, che è riuscito nell’obiettivo che si era prefissato: prendersi tutto, capre e cavoli. L’anno della nuova svolta leghista del benemerito Salvini che, pare, abbia fatto dimenticare le malefatte dei suoi predecessori. L’anno di nascita e (quasi) morte del Movimento di Grillo.
Le vignette non sono, volutamente, in ordine cronologico, ma la disposizione colpisce nel segno. Si ride (molto) passando qua e là, girovagando apparentemente senza cronache, nelle cronache dell’anno che fu. Marco ci prende per mano e, come se fossero poesie, rende il significato di ogni vignetta non nel suo significante, bensì nel titolo.
L’autore, che è della mia generazione, la Prima Repubblica l’ha vissuta nel racconto dei nostri genitori; qualche immagine ci torna in mente in maniera rarefatta (l’esilio di Craxi, la gobba di Andreotti, il parlare parlare parlare di Occhetto, l’avvento di Berlusconi). Ma questa Repubblica (la seconda? la terza?) è, purtroppo, “casa nostra” e la conosciamo meglio di chiunque altro perché ci ha preso nel suo mortifico abbraccio, rendendoci vittime sacrificali dei suoi errori.
È per questo motivo che ho amato queste vignette. Perché non sono imbevute del vecchio regime, perché sono incazzate ma colte, perché se ci hanno fregato è ora che facciamo qualcosa, perché non c’è giovanilismo e non partecipa alla lotta tra giovani e vecchi che ci vogliono far intraprendere.
Che ci sia un’ideologia, come in tutte le satire, è ben visibile. Ma è un’ideologia liquida di chi è al tempo stesso la sintesi e l’implosione di tutte le ideologie.
Riprendendo l’epigrafe che troviamo all’inizio del libro, Marco non è servo di nessuno ma serve davvero a qualcosa. O forse, più che altro, a qualcuno: a tutti coloro che si sono rotti le scatole di piangersi addosso e di credere a totem intoccabili.
Bella la prefazione di Erri De Luca (sì, il “criminale”, processato non ho capito ancora per cosa) in cui, giustamente, elogia questo bravo, bravissimo, Marco Gaucho Filippi.
Marco Gaucho Filippi è un giocoliere di parole e adopera assonanze più per avvertimento che per presa in giro. I suoi fotogrammi sono delle proposte di proverbio. Hanno il fondo amaro e il sapore improvviso della battuta detta o colta al bar.
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