“Rimi” di Gabriele Frasca
Recensione di “Rimi” (Einaudi, 2013) di Gabriele Frasca.
La grande abilità tecnica di Gabriele Frasca lo porta a confrontarsi nel suo nuovo Rimi (Einaudi, 2013) col verso italiano per eccellenza, scalato, come fosse una montagna della memoria, su più versanti e con l’ausilio di diversi sherpa. L’endecasillabo viene provato in alcune riprese/traduzioni di sonetti quevediani nella sua potenzialità concettista, caricato di assonanze e lievemente dilatato in una versione che non ignora la lezione stilistica pasoliniana e più in genere il lavoro che hanno operato le avanguardie. Frasca usa l’evoluzione estrema della metrica attuale per rendere una versione ragionata e impreziosita dall’anacronismo del secentista spagnolo:
se con diverse cose la memoria
al presente il passato ricongiunge
per dar sollievo e affanno poi che funge
come confine fra dolore e gloria
e se il pensiero identica vittoria
nel mondo del molteplice raggiunge
e se all’arbitrio nostro è dato aggiungere
un’elezione all’altra transitoria
l’amore che non è solo potenza
ma quell’onnipotenza che propelle
quanto su questo suolo vive e sente
perché con due incendi un’esistenza
con la sua fiamma non potrebbe ardente
fulminare da due diverse stelle
L’impianto teorico che spinge Frasca a confrontarsi con questi modelli mescolando traduzione e creazione, creazione e riflessione, è ben solido, e lascia intravedere una linea di continuità fra il poeta e il professore (Gabriele Frasca insegna Letterature comparate e Media comparati all’Università di Salerno, n.d.r.).
Al centro del volume si dipana il poemetto in prosa Rimi che dà titolo a tutta la raccolta. Quaranta flash in prosa poetica in cui il dettato si fa audace e personalissimo, contaminando tradizione, storia del novecento (il protagonista di questo romanzo in versi ricorda un postmoderno Leopold Bloom lanciato per i vicoli tortuosi del ricordo) e tensioni al futuro attraverso “la vita e la morte di un personaggio concentrate in una giornata di attraversamento della realtà”, come scrive il compilatore della quarta di copertina.
La struttura fondamentalmente a doppio endecasillabo della versificazione/narrazione suggerisce la riscoperta di un’altra potenzialità del nostro verso patrio, quella cioè, in voga fino all’inizio del secolo scorso, appunto narrativa, che aveva raggiunto la sua massima espressività nell’ottava dei cantari cinquecenteschi. Le fitte pagine di Rimi sono in dialogo con la tradizione letteraria italiana, e nello sforzo di stringere troppo, proponendo una buona teoria di suggestioni, proposte e fascinazione, probabilmente finiscono per lasciare un posto di secondo piano a quella che un tempo si sarebbe definita la vena sincera.
Tuttavia anche Rimi rappresenta un passo intelligente e utile nella definizione di un’estetica del nuovo millennio.