Recensione di “Giorgio Caproni, parole chiave per un poeta. «Nuova corrente»” (numero 147, anno LVIII 2012)
Recensione di “Giorgio Caproni, parole chiave per un poeta. «Nuova corrente»” (numero 147, anno LVIII 2012)
A un anno dalle celebrazioni per il centenario della nascita del poeta Giorgio Caproni, si moltiplicano gli approfondimenti editoriali sull’attività di questo peso massimo del nostro concluso Novecento. Trovarsi in un faccia a faccia critico con la poesia della cosiddetta “seconda generazione” (Luzi, Sereni, Bertolucci, nati intorno al Dieci), formatasi fra le due guerre sul magistero di Saba, Ungaretti, Cardarelli e Montale, attraverso la mediazione di Sinisgalli e Quasimodo, ci rende nota una paternità, meglio descritta come fratellanza, che si pone a indizio più sicuro nel passato prossimo della nostra difficile identità odierna.
Prendere atto della lontananza (un secolo ormai) che ci separa dai natali di quella poesia, passata alla storia con il controverso aggettivo “ermetica” posto a fianco, ci costringe a considerare la nostra storia nazionale, “gli anni tedeschi”, la Liberazione americana, il benessere. La generazione del Dieci c’era, ha vissuto e raccontato quelle cose, provando a tracciare una linea da lasciare in eredità ai nipoti.
Intorno a questo stimolo si innesta l’”esperimento” provato dalla rivista «Nuova corrente», nel numero 147 del 2012 (Interlinea, 28 euro), in cui undici giovani studiosi provano, diretti da Luigi Surdich e Stefano Verdino, ad allestire «una sorta di dizionarietto tematico caproniano», proponendo alcune parole chiave che riguardano l’opera del poeta.
A partire dal termine composizione proposto da Rodolfo Zucco, che traccia un percorso nei diciassette Sonetti dell’anniversario, si passa alle immagini che animano l’ambientazione degli scenari eletti dal poeta (mare, deserto) con i relativi valori profondi e correlati, fino a soffermare l’attenzione, con gli interventi di Elisa Tonani, Massimo Natale e Anna Marra sulla sapienza tecnica esercitata al massimo grado nella seconda produzione. L’opera caproniana è indagata con acume e da diversi punti prospettici, fornendo spunti e realizzando sondaggi preziosi per lo studioso, dall’’”impressionismo” delle prime opere, investite «da un intrigo indefinito di aromi e odori, folate e fiati, aliti e aneliti, vampe e voci» (Alessandro Ferraro, p.151) fino alle Anarchiche dell’ultima raccolta incompiuta (analizzate nell’intervento Indignazine da Simona Morando) in cui al ‘noi’ della poesia civile si contrappone un ‘io’ che è anche l’oggetto della relazione di Irene Teodori. Un’attenzione particolare è dedicata anche all’attività di narratore che il poeta intraprese nel dopoguerra per la stampa periodica, Giovanni Battista Boccardo si sofferma su una caratteristica di stile di queste storie che accomunerebbero la prosa caproniana a quella degli autori latini: il gerundio assoluto.
Dopo gli interventi è la voce stessa del livornese a impreziosire le pagine di Giorgio Caproni, parole chiave per un poeta, con un breve estratto dal suo diario concesso per cortesia del figlio del poeta Mauro Caproni. sono parole amare e consapevoli sulla necessità di una fede, e sul ruolo che il poeta sentiva riservato a lui nella società: «[…] La verità è l’errore in cui si crede? Una qualunque fede è necessaria all’uomo nella condotta, altrimenti resta signoreggiato e disgregato in ogni istante dalla perplessità, che o l’inchioda all’inerzia o gli fa prendere decisioni contrastanti (poiché di nessuna è convinto) che gli rendono impossibile vivere nella società senza soggiacere agli altri. [¡K] Gli affetti non hanno, per fortuna, verità, non sono giudizi né propositi, per questo non ammettono perplessità. Ma per tutto ciò che dipende dal giudizio, per tutto ciò che dipende dalla volontà vivo in perpetuo labirinto. Sono e rimarrò, nella “selva oscura”».