Quattro poesie inedite di Valentina Calista
Quattro poesie inedite di Valentina Calista.
#1
Un miracolo
che vorrebbe avvenire ad ogni alba
quando il cuscino ricorda la presenza
della tua vita intersecata alla mia.
Custodire la grazia.
Parliamo la notte, quasi non abbiamo
più un tempo d’essere ma siamo
sempre tutti i giorni essenza. Siamo.
Poiché un respiro non è così lieve:
intuisco la scia dell’anima passante,
il suo calpestare le foglie già morte
dalla pioggia martellante violate e
dal muschio affamato conquistate.
Mi pare di intuire persino la scia
dell’anima passata . Di quella futura
ho ricevuto un abbaglio, forse una
profezia lunga tutta la vita. Siamo.
Particelle scomposte, poi ricomposte
dopo una lotta di reazioni universali,
dopo un digiuno chiamato a correggerci,
dopo un disastro imploso nei corpi, e fuori
e dentro gli incavi spazi del nostro pensare.
Mi pare di intuire persino. Persino. Siamo.
#2
Con mani tese alla tua aurea
di nubi e amore ti chiedo
gridando la convulsione
vincente del nostro amarci
di cosa si muore nell’assenza.
Una pausa dai battiti cardiaci,
dallo scorrere del tuo sangue
nelle periferie del mio-cardio;
una pausa che non prevede
quei silenzi di mistica attesa;
una pausa che sottrae l’aria
dagli alveoli più piccoli del mio-
corpo. E una parola, forse due,
a ricongiungerci nello stesso
fiume.
#3
Ho fame di neve.
Di quella bianca bianca
che si mangia dalle mani
viola rosse – blu di gelo.
È tutto neve il mio bisogno,
un riflesso all’infinito delle
spossatezze. Che io possa ricordare
quanto sia eccezionale Essere (umani?).
Non importa che il dolore penetri
nelle vene blu mare delle mani
dei polsi-fiumi, dei piedi-prati
piantati a terra come legni secolari.
Sono terre dove il sole deflagra.
Non importa, credimi, se il petto
sarà aperto come un taglio sul mondo
a cercare risposte da bora contraria,
bora che sbatte alle finestre del tempo.
Sono ore della notte e delle pianure
quando si allargano i respiri nel buio,
si contano le aurore del futuro e del
passato rimane ombra sui muri.
Non voglio digerire queste distruzioni.
Voglio invece guardare l’invecchiare
della foglia che cade, fluttua e riposa
sui suoli che (più) non guardiamo.
Voglio, si, voglio, toccare i vuoti dell’aria
quando si piegano i rami sulla seta dell’acqua,
quando dalla bocca piroettano parole,
quando il mio respiro – nel tuo stesso respiro –
introduce qualche canto che non ti so dire.
#4
Non è prevista l’eternità
negli umani meridiani se non
per fede diretta o speranza e
continuano a dire, a dire, a dire,
che non esiste l’eterno, che una foto
arrugginisce come un chiodo nel fianco
che le foglie cadono a divenire concime
che le stelle cadono per tracciare vuoti
che la pioggia cade per diffamare corpi.
Pronunciano tragedie le bocche avare
di bene, avare di sole, avare di madri,
mentre penetravo la tua bocca-rifugio
che non era avara di madri, non era avara
di luce, avara di sole, avara, era
come gli squarci dell’alba riverberata
sulle particelle d’acqua cadute la notte
dalle mani di Dio.
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