“Q.E.D.” di Gertrude Stein
Recensione di “Q.E.D.” (Croce, 2015) di Gertrude Stein.
Era il 1903 quando Gertrude Stein finisce di scrivere Q.E.D. − Quod Era Demontrandum, Come Volevasi Dimostrare − e quasi subito dimenticato. Venne pubblicato postumo, quasi settanta anni dopo e racconta la “scandalosa” storia autobiografica di tre giovani donne e della loro relazione omosessuale.
Come è ben noto, agli inizi del Novecento le relazioni omosessuali non erano ben viste, soprattutto quelle tra donne. Se da un lato l’amore tra due uomini era più conosciuta al livello artistico − Oscar Wilde è l’esempio più lampante − l’omosessualità femminile è stata considerata un tabù molto più a lungo. Nell’introduzione, Caterina Ricciardi spiega come le donne omosessuali erano costrette all’epoca a nascondere la propria intimità dietro a una “convivenza tra amiche”.
Sfogliando Q.E.D. si ha l’impressione di leggere una storia ambientata nel nostro tempo: la modernità del linguaggio è solo uno specchio che riflette la modernità del tema, che è tutt’ora al centro di accesi dibattiti:l’omosessualità e l’ideologia di genere. Leggendo Q.E.D., la protagonista Adele (alter ego dell’autrice) ci sorprende con un commento che si pensa faccia riferimento al Siddur “sono sempre stata grata a Dio per non essere nata donna”.
Oltre al tema scottante all’epoca e alla forte influenza biografica, risulta difficile seguire gli eventi narrativi di questo libro, distratti forse dai dialoghi delle amanti o dai salti narrativi. Bisogna avere una concentrazione altissima e soprattutto una grande sensibilità per recepire quei momenti, quegli indizi celati in cui nasce la relazione amorosa tra le tre. Se nelle primissime pagine sembrano tre ragazze che vanno in Europa insieme e affrontano il tedio della navigazione chiacchierando, poche pagine dopo si è già dentro ai dubbi e alle ritrosie che Adele prova nell’accettare la sua attrazione verso Helen. Non c’è da stupirsi che Adele abbia paura e che Helen, più esperta, la rimproveri per questo accusandola di “non sapere andare oltre le cotte adolescenziali”. Ma mettiamoci per un istante nei panni della giovane Adele: figlia di una famiglia benestante con i principi e le morali che allora inculcavano come mantra nella mente dei giovani dabbene, è quasi scontato che alle paure che tutti hanno, affrontando un primo amore, si aggiungano anche i preconcetti con cui è cresciuta. Senza contare che fino a pochi decenni fa l’omosessualità era considerata una malattia mentale, curata con lobotomie, elettroshock e altre terapie al limite della tortura.
Tuttavia non sottovalutiamo neanche la forza di quella donna che con le sue opere diede un impulso rilevante allo sviluppo dell’arte e della letteratura moderna, la donna che negli anni Venti tenne nella sua casa a Parigi uno dei più importanti salotti artistici e letterari. Hemingway e Picasso erano frequentatori abituali e tenevano in grandissima considerazione la sua opinione in merito alle loro opere − l’abbiamo vista sul grande schermo nel film Midnight in Paris proprio in questo suo ruolo − non nascose la sua omosessualità ed ebbe una vita praticamente coniugale con la sua consorte AliceToklas, tanto che la loro storia è una delle più celebri nel mondo LGBT, anche grazie al libro che le fece conoscere il successo mondiale Autobiografia di Alice B. Toklas. Non poteva, quindi, una donna del genere, essere influenzata dall’ambiente in cui era stata educata e cresciuta.
Nel corso di Q.E.D. vediamo come Adele sembra più turbata da una reticenza personale che va al di là dei moralismi dell’epoca sulle relazioni omosessuali. Infatti in un’occasione Adele e Helen si baciano sotto alla luce del lampione, ma lungi dall’essere preoccupate che qualcuno abbia potuto vedere le loro effusioni – giudicandole eretiche o nelle migliori delle ipotesi malate mentali –, il loro unico pensiero era se Sophie, con cui Helen aveva una relazione ufficiale, le avesse viste.
Da qui il vero problema che si agita in Adele: Sophie, l’altra. È come leggere la storia di un qualsiasi triangolo amoroso, in cui l’amante si sente oppresso, svilito, impotente, obbligato a nascondere la relazione al mondo perché confinato nel claustrofobico ruolo dell’amante da nascondere nell’armadio. Come il supplizio di Tantalo, Adele aveva l’amore di Helen sempre appena fuori dalla sua portata, lo sfiorava ma non lo aveva mai interamente. Quello era il dominio di Sophie.
Helen. Come tutte le persone che hanno un amante non riesce a staccarsi da Sophie sebbene ami Adele, al contempo non riesce a staccarsi da quest’ultima. È la tipica situazione di stallo che vivono quelle persone che sono al vertice di un triangolo amoroso. Non riuscire a decidere tra l’amante e la compagna.
Forse era questo, quell “istinto privo di significato” che Adele accenna ad Helen quando le spiega perché aveva reagito con disgusto al bacio che “travalicò i muri della castità”.
È così che finisce la storia di Q.E.D. con una Adele che al contrario dell’inizio della storia è forte e consapevole − sebbene ancora addolorata dalla delusione d’amore − parlando di Helen afferma “ non riesce a vedere le cose come sono ma come vorrebbe che fossero se lei riuscisse ad essere abbastanza forte, evidentemente non lo è”.
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Grazie per questo bell’articolo, scritto tra l’altro benissimo.
Non ho trovato molto altro in italiano in rete su questo romanzo.
Grazie davvero, e complimenti.
Roberta