Povere creature! di Lanthymos: maniche a sbuffo e ripresa grandangolare a tracciare il percorso evolutivo umano di una donna ‘inumana’
In questa brillante pellicola, dai toni fantascientifici e altamente surreali, a colpire la visione dello spettatore non son soltanto la faccia sfregiata dello scienziato-padre e il richiamo sinistro del timbro più vibrante e acuto di qualsiasi strumento che solo il violino può, elementi automaticamente atti ad accarezzare l’omaggio a fortunatissime scene di Frankestein di Mary Shelley e Frankestein Junior.
C’è più di un qualcosa di più che coinvolge il nostro cervello in richiami ancestrali della psiche che lì per lì la razionalità non sa determinare ma che poi, via via, mette a fuoco nel dipanarsi della trama: saranno le gigantesche maniche a sbuffo dei vestiti di Bella, la protagonista interpretata da Emma Stone, sarà la scena dei neonati e dei loro adulti nudi, gettati in un ventre di terra dalle limbiche connotazioni serigraficamente dantesche, sarà lo spazio senza tempo in cui nuotano i personaggi, a volte riecheggiante delle pellicole dei primi anni Trenta, altre volte proiettato futuristicamente in forme e colori che fanno un po’ à la Tim Burton e un po’ à la Wes Anderson, ma che non è in realtà nessuno dei due, proprio perché, paradossalmente, è Lanthymos.
E codesto Lanthymos, codesto regista dalle greche origini, in Povere creature! indaga in primo luogo il rapporto padre- figlia “speciale”.
Cosa, difatti, è disposto a fare un padre, sapendo la propria figlia diversa dalle altre creature, eppure amante della conoscenza e dello spirito d’osservazione scientifico? Cosa fa? Osserva principalmente lei: i suoi progressi, i suoi limiti. La guarda con l’amore compassionevole del genitore che più di altri genitori è chiamato alla responsabilità della protezione, a costruire un mondo “su misura” per la figlia, auspicando sempre che lei non coltivi mai l’insano capriccio di uscire “fuori” dalle mura domestiche, per doversi, così, imbattere in un mondo estraneo e potenzialmente nemico.
Estremamente selettivo nella scelta del proprio assistente, e come un Eteocle tutto intento a difendere la sua Tebe o, meglio ancora, come un Prospero “rinchiuso” nella sua isola, con le sue arti magiche e la sua Miranda, Godwin Baxter (quasi un semidio!) è un moderato tragicomico dalla deliziosa ipotassi che fa crescere Bella come dentro una bolla di cristallo, o una campana di vetro.
Difatti, la ripresa grandangolare, che di base nelle foto serve a rendere l’idea di spazi più ampi e di una visione più totalizzante, è adattissima a dar da pensare a ciò; nel corso del film, via via smussata con l’evoluzione interiore di Bella, per converso, invece conferisce alle atmosfere un che di claustrofobico e disturbante, come se la protagonista fosse di fatto un pesce che noi stessimo guardando all’interno della sua boccia.
Sarà solo la grande testardaggine, mista alla curiosità e ad impulsi ormai per Bella diventati irrefrenabili, a spingerla ad avventurarsi “al di là dei confini” del suo mondo e al di là delle remore trasmessele con scarso successo dal padre.
Da allora, l’evoluzione di Bella progredisce per gradi, ma senza ripensamenti e sempre con sguardo sereno e ottimista nei confronti del mondo. Per quanti “gatti e volpi” possa incontrare, sarà sempre lei a vincere. Lei con la sua «tigna» irripetibile, più unica che rara. Lei con i suoi lunghi capelli neri e i suoi occhi chiari, un po’ Biancaneve un po’ eroina di Star Wars, si muove tra città che di reale hanno solo il nome e la connotazione geografica, tra loschi personaggi che finiscono inevitabilmente per volerle anche un po’ di bene, perché l’ingenuità sprovveduta e coraggiosa richiede sempre questo come contropartita. Lei, amante della conoscenza e dello scambio di idee solo tra chi reputa le rassomigli, l’eredità più schietta del suo scienziato- papà.
C’è, però, una cosa da dire: da spettatore, non si può amare Bella Baxter se non ci si ama fino all’ultimo centimetro più bizzarro e irriverente di sé, quello che nulla ha a che vedere con le facciate narcisistiche delle convenzioni sociali.
Bella è una donna che si costruisce da sé: da ragazza “speciale” diventerà medico; senza tuttavia rinunciare alla verità.
Anzi, è soltanto andando a vedere il film che lo spettatore, credo, potrà rendersi conto di quel che, almeno secondo me, è il messaggio di fondo che Lanthymos vuol dare: la libertà è una conquista quanto la verità su noi stessi. Senza verità non può esserci vera libertà. Verità che è voce che in greco antico suonò come aletheia, ovvero la condizione stessa dell’esser senza velo, non nascosto.
Spero allora che questo film possa arrivare a commuovere altre persone come ha commosso me.