“NW” di Zadie Smith
Recensione di “NW” (Mondadori, 2013) di Zadie Smith.
NW sta per North West, periferia nordoccidentale di Londra, dove la stessa autrice del testo, Zadie Smith, è cresciuta.
Il titolo, sintetico ed essenziale permette una prima fondamentale osservazione. Non è certo un caso, infatti, che esso coincida con il posto in cui è ambientato il romanzo: in modo chiaro e inequivocabile il senso di appartenenza ad un luogo e l’identità personale appaiono immediatamente come temi centrali.
Le mille facce di una metropoli e le innumerevoli sfumature dell’animo umano sono due facce di una stessa medaglia: imprescindibili e indivisibili l’una dall’altra.
Nello specifico sotto la lente della scrittrice c’è il quartiere popolare di Caldwell, particolarmente multietnico, ricco di sogni, difficoltà, frustrazioni e tutti i protagonisti lo esemplificano perfettamente.
C’è Leah, anticonformista, profonda e generosa, che nonostante la laurea non è riuscita a spiccare il volo e ad elevarsi socialmente. La giovane si sente bloccata in un universo familiare e sociale “piccolo” (mal sopporta le cene dalla sua amica, nonostante l’affetto che le lega, perché le reputa troppo borghesi, troppo ingessate e finte per lei), ma al tempo stesso non vuole crescere: non vuole cambiare casa, quartiere, non vuole avere figli perché la farebbero sentire troppo matura; non vuole, al contrario del marito, francese di origine caraibica (i personaggi sono tutti di origine non britannica) non vuole andare avanti. La morte del suo amato cane provoca dentro di lei una vera e propria esplosione: dopo l’iniziale mutismo, conseguenza diretta del muro che ha messo fra sé e gli altri, paure ed insicurezze emergono dall’abisso nel quale erano sprofondate.
C’è Natalie, detta Kesha, che invece è diventata un avvocato di successo e abita in un posto elegante, ma sin dall’adolescenza è alla ricerca di se stessa nonostante sembri forte e con una spiccata personalità. Pare avere ormai tutto: una splendida famiglia, agiatezza economica e un impiego che ama. Eppure niente riesce a soddisfarla appieno e, esattamente come la sua migliore amica Leah, non riesce a comunicarlo. Emblematica è la scena in cui proprio Leah nota che Natalie e il marito Frank non si guardano, non si parlano, non esternano ciò che sentono. Addirittura la donna arriva a costruirsi una sconvolgente doppia vita.
C’è, poi, Felix che non ha aspettative; dopo un passato segnato dalla droga è rassegnato, quasi stanco, ha un lavoro precario e vive alla giornata. Ha un padre stravagante con il quale ha rapporti sporadici e sembra che l’esistenza gli scorra davanti agli occhi come se fosse quella di un altro: l’unica gioia è per lui è la nuova fidanzata del quale è follemente innamorato. Una personalità dunque inquieta e “leggera” che concluderà la sua vita in modo tragico.
C’è infine Nathan che da piccolo era l’idolo della ragazzine e si è trasformato in un senzatetto dedito alla criminalità. L’uomo incarna non solo il lato oscuro e “cattivo” della città, ma anche il senso di fallimento e la rabbia per le “illusioni perdute”.
Attraverso le loro storie, narrate “in presa diretta” visto che non c’è il filtro di un narratore onnisciente, percorriamo le strade di una Londra inedita scoprendo le dinamiche di una società che potrebbe essere aperta, accogliente e invece è per alcuni versi dura ed inquietante.
Una prosa incalzante, raffinata ed intensa, che non lascia spazio a prolissità veicola un testo profondo e a tratti spietato, di non semplice lettura, ma coinvolgente e pieno di sfumature.