“Norwegian Wood”, il romanzo romano di Haruki Murakami
Spunti da “Norwegian Wood”, il romanzo romano di Haruki Murakami.
Stadio Olimpico, un’ansa del Tevere, cosa hanno in comune con il libro del grande maestro giapponese? Moltissimo. Perché Norwegian Wood di Haruki Murakami fu concepito prima in Grecia a Mykonos, dove venne scritta la prima metà, poi la stesura della seconda e parte della revisione avvenne in un appartamentino della periferia della capitale, con vista sullo stadio e sul biondo Tevere… sempre più sul marroncino, per via di altri motivi. Ci fu anche un breve intermezzo siciliano e nel sud, ma fondamentalmente il pendolo geografico della stesura del testo si muove tra l’isola greca e la città dei cesari.
Con umorismo Haruki Murakami ha scritto che talvolta, mentre batteva a macchina, vedeva una nuvoletta sullo stadio, provocata dai fumi, dai vapori, dalla condensa di centinaia di migliaia di persone: ‘lo spirito del popolo’!
Norwegian Wood è un romanzo di formazione importante, perché segna nel 1987 una nuova direzione nell’ispirazione dello scrittore. Murakami avverte l’esigenza di confrontarsi con il grande romanzo di stampo europeo. Watanabe è un giovane protagonista, che vive in modo dissonante la realtà che lo circonda, non cosciente delle proprie virtù, e in definitiva è sconosciuto a se stesso, sperimenta la vita, lasciandosi andare un po’ alle correnti dell’esistenza, diviso sostanzialmente fra due ragazze: la problematica Naoko e la disinibita Midori. Come dice Giorgio Amitrano – grande traduttore di Banana Yoshimoto e di Haruki Murakami – le somiglianze del protagonista con Holen Caulfield di Salinger, il David Copperfield di Dickens e il Benjamin Braddock alias Dustin Hoffman del film Il Laureato sono significative, senza peraltro scalfire l’originalità e la verità profonda di Norvegian Wood.
Ciò che costituirà una nuova linfa nell’ispirazione di Haruki Murakami, fu pure l’esigenza di scrivere una storia dal tratto più realistico, più personale. In questo senso diviene una pietra miliare nella sua produzione letteraria, che influenzerà anche le opere successive. Prima la principale caratteristica delle sue opere era dettata da una certosina decostruzione della realtà, in cui le emozioni erano tenute a bada da un disincanto vicino alla produzione hard-boiled.
Curioso come il titolo sia erroneo. Ispirato dalla canzone Norvegian Wood dei Beatles, che sta per legno e non per foresta. Il titolo fu cambiato in Tokyo Blues nell’edizione italiana, per poi recuperarli entrambi: il primo originale accompagnato dal secondo per l’edizione feltrinelliana.
Per chi non lo avesse letto, ritengo sia un romanzo importante per coloro che – a prescindere dall’età – siano alla ricerca di se stessi, vogliano entrare in empatia con uno stato di trasformazione che nella vita si sperimenta sempre in varie fasi, e che chiaramente si vive in un certo modo intorno ai vent’anni – l’età dei protagonisti – e poi appunto in maniere generalmente diverse nelle età successive.
Il libro ha tanti riferimenti simbolici e metafisici, forse meno di altri testi di Murakami, ma ovviamente c’è tutta una discussione letteraria sui ricchi significati simbolici disseminati nelle sue opere.
Il romanzo propone spesso situazioni dove i personaggi pongono fine alla loro vita. Con il suicidio di persone vicine si confrontano tutti i protagonisti del romanzo. E’ un tema della letteratura nipponica. Il suicidio come affermazione cristallina di un sentimento, di una volontà che la vita invece vuole cambiare. La constatazione pura e tremenda che ciò che si è o si è scelto sia diamantino, come in un amore finito in cui il suicida non veda soluzioni alternative. Io sono come sono e avverto che colui o colei mi completa è la mia metà. Se uno dei due non la pensa più così, allora che senso ha la vita? Dato che la mia esistenza è una con la persona amata? Questo tema, esteso poi a tutte le dimensioni, è un motivo sociale e letterario significativo in Giappone, dove per esempio accade più facilmente che persone si suicidino solo per essere lambite da un caso di corruzione: la mia vita è rivolta all’azienda. L’azienda sono io, l’azienda è in me. Ciò che danneggia l’azienda uccide me. Il buon nome della società è il mio.
Adesso ne posso parlare. Ho letto solo recentemente questo libro, la ragazza che me lo regalò pose fine alla sua vita molti anni fa. Una strana malinconia percepì in quella circostanza, alla quale non seppi dare un significato, era qualcosa che mi sembrava andare oltre il semplice distacco momentaneo. L’amica viveva una storia d’amore tormentata. Quella malinconia, con il senno di poi, aveva qualcosa di chi pensa di vederti per l’ultima volta, di chi sta maturando una decisione. Mi sentì onorato di quegli occhi lucidi, di quei groppi in gola appoggiati al muretto di una città lontana. Non compresi il dramma che si consumava, ma oggi so che probabilmente se fossi stato informato ciò non sarebbe accaduto, avrei trovato le parole giuste, avrei detto che la vita a volte sembra senza via d’uscita, ma l’importante è vivere, o almeno vegetare, e poi d’incanto si aprono nuove strade. Si rinasce sempre. Lo giuro! E ne sono convinto. Ma nulla sbloccò la nostra comunicazione in tal senso, lei covava e teneva tutto per sé, almeno nei miei confronti. Qualcuno avrebbe dovuto dirmi di più, ma non lo fece, probabilmente perché rimuoveva l’idea stessa della morte di una persona cara. I vent’anni urlano la vita, confliggono con la morte. Me ne andai felice con un libro in mano, felice di suscitare sentimenti tanto forti. Vanità. La ritrosia che si genera in alcune comunità o gruppi di amici può essere letale.
Rimosso per tanto tempo, abbandonato negli scaffali, solo oggi ho compreso il linguaggio cifrato del libro, il messaggio che era diretto a me, solo che l’infausta decisione venne presa prima che io potessi leggerlo, e comprendere quanto Norwegian Wood parlasse di noi.
Sia chiaro però, il testo di Murakami è un libro positivo, riguarda la maturazione, non immerge il lettore in un clima lugubre, i personaggi sono belli, teneri, ricercano se stessi, si mischiano nel turbinio della vita. Splendono senza sapere di essere brillanti, proprio come quei ragazzi del muretto di tanti anni fa.
Ci stendemmo sul letto e ci abbracciamo stretti. Sotto le coperte, cullati dal rumore della pioggia, ci baciammo sulle labbra e poi parlammo di tutti gli argomenti possibili e immaginabili, dalla formazione della terra al giusto grado di cottura delle uova sode.
- Ma cosa faranno mai le formiche nei giorni di pioggia? – chiese Midori.
- Chissà, – dissi io. – Faranno le pulizie della tana o metteranno in ordine le provviste. Sai quanto lavorano le formiche.
- Ma come mai anche se lavorano tanto non fanno mai nessun progresso? Migliaia di anni e sono sempre formiche!
- Mah, non saprei. Forse la loro struttura fisica non è fatta per evolversi. A differenza delle scimmie.
- Non le l’aspettavo. Anche tu ci sono cose che non sai, – disse Midori. Io ero convinta che tu sapessi tutto.
- Il mondo è grande, – mi giustificai.
Sollecitato da alcuni ‘murakamiani’ faccio una precisazione. La stesura romana di buona parte del romanzo avvenne su quaderni d’ufficio e utilizzando un pennarello sottile. Può sembrare un dettaglio rispetto alla macchina da scrivere menzionata, ma in realtà la fluidità e il ritmo di Norwegian Wood seguono il flusso del pensiero e della composizione tipici della scrittura a mano, molto più diretta e priva di aritmie o vuoti emotivi. Citando poi lo stesso Murakami: ‘Ogni volta che penso a questo romanzo, ancora oggi alla mia mente affiorano i paesaggi dell’Italia degli anni ottanta. Per questo, se i lettori lo amassero, non potrebbe esserci per me gioia più grande’.