"Nelle immediate vicinanze" di Mario Quattrucci

“Nelle immediate vicinanze” di Mario Quattrucci

Una Roma “sub specie corruptionis” in “Nelle immediate vicinanze” (Robin, 2014), nuovo libro di Mario Quattrucci.

Molti, fra cui – ci dicono – il diretto interessato, si sono meravigliati dell’assegnazione dell’ultimo Nobel ad uno scrittore esangue come il Modiano, delineatore di filiformi vicende d’inseguimento della solita figuretta evanescente di donna, nel solito reticolo di vie parigine, tutte citate con puntiglio nomenclatorio da fare invidia a un flic.

Ecco: uno scrupolo affine, ma come più affettuoso, e impregnato di sapori vissuti e di memorie, innerva le pagine della più recente “fatica” di Mario Quattrucci, Nelle immediate vicinanze (Robin, Roma, 2014), che, a prima vista, e solo in modo molto grossolano, può essere inserita (se proprio si deve induglere al malvezzo della bottegheria editoriale italiana, di dare quanto prima a ciascun libro la sua brava casella merceologica in cui appollaiarsi, e far danè, possibilmente)  nel filone del noir.

E infatti, gli ingredienti fissi del genere ci sono tutti: il mortammazzato, a inzio di plot; il secondo cadavere un po’ oltre la metà dell’intreccio; un “commissario” che indaga; un sospettato che è, manco a dirlo, innocente come un agnellino; una serie di possibili moventi, destinati a smontarsi uno dopo l’altro; e, in fundo, proprio a poche pagine dalla fine, il colpevole svelato dalla implacabile coerenza deduttiva del “comissario”: ovviamente, l’ultimo che ci si sarebbe aspettato.

Ma questa non è che la scorza, del libro – dei molti libri con il “commissario” Gigi Marè nel ruolo di solutore dell’enigma di turno, che Quattrucci ha regalato via via negli anni al nutrito gruppo dei suoi estimatori -, l’offa buttata in gola al lettore da sedile della metro.

Perché invece a questo corpus vile di racconto quasi da pulp fiction, di meccanismo narrativo oliato alla perfezione e scivolante senza stridore alcuno sui binari che conducono dal ritrovamento dell’assassinato all’individuazione dell’assassino, s’intreccia un secondo, più dolente, e risentito, scandaglio, che Quattriuccoi getta impavido verso il gorgo nero dell’umana capacità di fare del male ai propri simili. E fin qua, siamo ancora – sia pure ad un più profondo livello – nei limiti canonici del genere: non era forse già Delitto e castigo la storia del come e del perché un giovinotto raziocinatore finisce ad ammazzare una laida vecchia usuraia, in base all’assunto che, gente così, da ‘sto mondo, è meglio levarcela? E di cravattaro (o scortichino, o strozzino, o come altro diavolo vi piace chiamarlo, un usuraio!) anche in questo caso, si tratta.

Ma, col permesso di chi sta leggendo, non è ancora questo, il motivo dell’assoluta particolarità del libro in questione: esso, naturalmente, ricostruisce post mortem l’umano itinerario della vittima, con l’ovvio intento di risalire così al punto nevralgico in cui si è intersecato con quello dell’assassino; ma, nel far ciò, Quattrucci trova il modo di appoggiare, sul traliccio scheletrico di quest’uomo ammazzato a pistolettate nella bruma di una giornata novembrina “fra gli sterpi e la zella della breve striscia in Via Cilicia, bordo Ferrovia, poco più giù del Ponte di Via Siria e poco prima del Ponte su Via Appia: a destra, di là di ville e parchi, sullo sfondo, le Mura Aureliane con l’antica Porta… detta poi San Sebastiano”, trova il modo, dicevamo, di appoggiargli addosso un atroce vestito d’Arlecchino: fatto, cioè, coi pezzi e brani di tutto ciò che, in Italia, da almeno cinquant’anni, ha avuto a che fare col ghigno feroce della Bestia trionfante: “…la sconfitta dello Stato di fronte alla criminalità, pervenuta al più alto grado di integrazione con l’economia e di penetrazione nella politica… […] il naufragio della speranza (e promessa) di una renovatio politica e morale: le stragi impunite e oggetto di mediocri opere di fiction; la verità della storia occultata o stravolta o addirittura sovvertita; la corruzione la concussione e l’abuso come sistema permanente di governo …” e via di questo passo; giacché “S’è marcito tutto, Carla! nello Stato, nella cultura, nella morale: nel Paese. C’è stato un momento in cui un grande rinnovamento sembrò possibile, e addirittura cominciato, ma poi, nonostante tanti sforzi e sacrifici, nonostante l’impegno di tante persone oneste e coraggiose e perfino eroiche, la partita è perduta […] e questi, tutti, quando nun so’ banditi so’ pajacci. E agli italiani come sai…, ha ragione Arbasino…, gangster e pagliacci piacciono di molto”.

Insomma, come quasi tutti i “polizieschi” di Quattrucci, ma stavolta – che c’entri l’accumulo ingravescente degli anni, che c’entri l’amarezza del frantumarsi delle illusioni, o che sia stata, invece, oggettivamente, la realtà a incanaglirsi al di là di ogni previsione possibile alle origini – con una più sconsolata, perfino poetica tonalità di scuro, il vero, alto motivo di pregio di questo libro è nella maniera, questa sì, “romana”, romana del buon tempo antico, alla Tacito pe’ capisse, di rimanere, lucidamente, intignati, a far testimonianza del proprio tempo.

E, già che di “romaneria”(ci si passi il neologismo, che non vuole avere nessun intento peggiorativo, ma solo quello di sfuggire all’alone maleolente che si è storicamente incrostato sull’altro, più ovvio, sinonimo, “romanità”) si è parlato, due parole ancora vanno pur dette: sulla splendida patina linguistica che indora pagina dopo pagina, frase, quasi, dopo frase. E ciò, ancor più che in quello, pur sciolto e vivacissimo, dei personaggi (giacchè il libro è quasi tutto giocato sui dialoghi, ed è quasi soltanto dal parlare con i suoi simili, oltre che con quelli che non gli somigliano per niente, sul piano morale, che il “commissario” perviene a sgranare la sua coinvolgente trama d’ipotesi), è proprio nel lessico del narratore, che s’inanellano i sugosi “fiori” della parlata romana. Intrecciandosi, per altro, ad una sapienza lessicale “culta” di indiscusso livello: sì da costituire, in definitiva, un altro (e non certo il minore!) dei motivi di godimento che – ci sentiamo di scommettere, con chi ha avuto la pazienza di seguirci fin qui – questo libro assicura al suo lettore.

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