“Nell’anno della sindrome di Rhee” di Massimo Pallottino
Recensione di “Nell’anno della sindrome di Rhee” (Ensemble, 2012) di Massimo Pallottino.
1998: l’antiquario Enrico Argenti si aggrappa ai ricordi per ricominciare a vivere dopo la morte della sua fidanzata. L’uomo reagisce trasferendosi nel luogo prediletto di entrambi, cerca conforto in una natura melanconica e al tempo stesso rigenerante oltre che in un diario, volutamente nascosto a tutti, nel quale ha ripercorso la sua storia con la pittrice Annalisa Felsini.
Molti anni dopo, nel 2028, nonostante sia ancora condizionato da quel tremendo lutto, intreccia una relazione con Juliette, una psichiatra parigina. I due intendono sposarsi e finalmente la serenità sembra vicina, ma il mondo intero è minacciato dalla diffusione di una terribile malattia – la sindrome di Rhee – che provoca la perdita della memoria e conduce inesorabilmente alla morte.
Questo testo, dunque, è il racconto della nostalgia di un uomo che però tenta disperatamente di guardare al futuro: Enrico, ad esempio, arriva a portare Juliette negli stessi posti in cui era stato con Annalisa prima del matrimonio, volendo fare in realtà un estremo tentativo per chiudere il cerchio su quella fase della sua esistenza. Il viaggio nei suoi ricordi diventa, poi, pretesto per interrogarsi sul senso della memoria e del vissuto di ognuno: la valenza universale di questo tema è sottolineata dal fatto che la sindrome di Rhee è una pandemia e riguarda proprio la facoltà di ricordare.
Il romanzo di Pallottino, però, è anche una sorta di thriller fantascientifico caratterizzato da un ritmo volutamente lento e da un’atmosfera sfuggente. In effetti, nell’evolversi della storia, si scoprono coincidenze inaspettate, si viene a conoscenza di un omicidio sulla cui effettiva risoluzione si nutrono forti dubbi e sembra esserci sempre qualcosa che non si comprende del tutto. I personaggi sono alla continua ricerca dei frammenti di una verità mai univoca e nulla si compie in modo definitivo; la stessa ricerca di una cura per la Sindrome di Rhee non dà risultati concreti nonostante l’impegno dei migliori scienziati.
Singolare è la scelta di trasportare la narrazione da un passato quasi bucolico a un futuro apocalittico in cui domina la tecnologia. Queste dimensioni temporali non risultano, però, totalmente dissonanti grazie ad un elemento che resta costante: l’autore ha utilizzato un linguaggio classico e forbito, pregno della natura da intellettuale del protagonista che, in effetti, si nutre di arte e di cultura.
Nell’anno della sindrome di Rhee è una lettura ideale per chi ama “gustare” un libro pian piano e apprezza un tipo di testo in cui la parte descrittiva è preminente su quella dialogica. Proprio per quest’attenzione ai particolari, per la trama e l’impianto narrativo originale il romanzo sembrerebbe una buona base per una sceneggiatura in vista di una trasposizione cinematografica.