In memoriam. Jacques Le Goff
Un ricordo di Jacques Le Goff, il grande storico medievale che ci ha lasciato ieri, la cui prosa oltre ad insegnarci qualcosa, molto, ci ha regalato una vera e propria visione del mondo.
Può essere presunzione, il credere di riuscire a circoscrivere in poche righe il senso di un’esperienza umana, e più ancora, culturale, com’è quella vissuta da Jacques Le Goff, ma se si volesse provare a racchiudere, almeno, in un giro di frase qualcosa del suo splendore, penso si potrebbe dire che questo va cercato nel concetto di uomo: l’aver richiamato, cioè, l’attenzione degli studiosi, certo, ma quel che più conta, dei lettori comuni – ché la scorrevole ricchezza del prosa di Le Goff è uno dei segreti della straordinaria efficacia raggiunta dal suo messaggio – , degli uomini come noi, su questo nodo centrale di qualsiasi fatto storico: che, a compierlo, vi è sempre un uomo. E dunque, storia può essere, sì, ricerca di documenti, faticosa indagine negli archivi o negli obituarii delle più sperdute parrocchie, ma quello che fa della conoscenza di essa un’esperienza di scoperta del proprio essere – giacché, no, non è vero: dalla storia non s’impara la vita, perché nulla si ripete, tanto da potervi applicare una formula appresa sui libri – è il tenere sempre chiare avanti le componenti della natura umana. La dinamica economica, certo – quanto, nella vita di un essere umano, contano i vestiti di cui si copre, e quello con cui prova a togliersi la fame almeno due volte al giorno: quanto tutto questo gli costa, in termini di fatica con cui procurarselo – ma anche il modo in cui il proprio corpo è avvertito dalla mente, è simbolizzato (spiritus, il respiro, allora “collega l’elemento mentale dell’uomo con la terza persona della Trinità”) e, di fronte all’esperienza angosciante della finitezza di esso e della sua vulnerabilità alla sofferenza e alla corruzione, il modo in cui questa viene esorcizzata dalla religione.
Perché, intanto, su questo correttamente Le Goff ha richiamato l’attenzione: per tutto il Medioevo non esiste altro uomo che quello credente, e credente in “un solo Dio, un Dio buono (che può essere anche un Dio di collera)”, e anche la incoercibile necessità di movimento che sembra percorrere tutta l’Europa medioevale si materializza nella forma del pellegrinaggio, simbolo, a un tempo, del suo essere “sempre in viaggio su questa terra e nella sua vita che sono gli spazi/tempo effimeri del suo destino” ma anche della ricerca della purificazione, del perdono: giacché anche questo è ugualmente vero, l’uomo del Medioevo “condizionato dalla concezione del peccato che gli è stata inculcata, cerca nella penitenza il mezzo per assicurare la propria salvezza”.
E forse proprio queste parole ci aiutano a capire, sia pure con la provvisorietà dell’emozione, e rinviando ad un altro tempo, a quando potremo tornare a riflettervi, più posatamente, il reale valore dello sforzo vittoriosamente compiuto da Le Goff: quello di riguadagnare, all’indietro e, per così dire, controcorrente, quanto, nella nostra mente di uomini del secolo XX – e, già che ne abbiamo la fortuna, XXI, anche! – era stato superato dalla battaglia culturale, e perfino materiale, degli ultimi due secoli precedenti, dall’Illuminismo in poi, e via via, dal progresso scientifico: Le Goff ci ha rimessi nelle condizioni di capire cosa pensava un uomo del Medioevo, che impressione aveva di se stesso, e del suo stare in questo mondo. Come – in una sola parola – viveva questo essere in via,”in viaggio”, attraverso l’esistenza che è, molto o poco che sia ancora, anche il nostro, oggi.