“Mary Shelley e la maledizione del lago” di Adriano Angelini Sut
Recensione di “Mary Shelley e la maledizione del lago” (Edizioni XL, 2013) di Adriano Angelini Sut.
Ho conosciuto Adriano Angelini Sut in qualche fiera – Roma? Torino? Pisa? – dove il gioco dei ruoli spesso salta totalmente e si capisce che un traduttore affermato può essere anche scrittore, o viceversa, e magari anche editore, perché no. Adriano è tante cose ma quello che non sapevo era la sua passione per Mary Shelley, nata Mary Wollstonecraft Godwin, scrittrice e saggista inglese dell’Ottocento che ha avuto almeno due meriti importanti (aggettivo forse poco riconoscente): aver curato le edizioni delle poesie del marito, Percy Bysshe Shelley, “cor cordium” come si trova nell’epigrafe della sua lapide al Cimitero Acattolico di Roma; e l’aver ideato, pensato e – soprattutto – scritto quel meraviglioso romanzo gotico che è Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus).
Passione, questa per la madre di Frankenstein, che si è riversata totalmente in un libro, Mary Shelley e la maledizione del lago (Edizioni XL, 2013) – opera sicuramente anomala e sui generis, ambiziosa e, soprattutto, interessante – e che mi e ci ha permesso di trovare almeno un terzo motivo per ammirare e ringraziare questa grandissima donna che ha avuto un ruolo così importante per la letteratura mondiale: motivo che va cercato nelle sue radici, nella madre – promotrice dei diritti delle donne e antesignana del femminismo – e nel padre, scrittore e saggista politico con derive anarchiche.
Basta questo per voler scrivere una biografia e togliere dall’oblio una intellettuale, tanto importante quanto dimenticata dalla critica contemporanea?
No, c’è molto altro in questa biografia che strapazza un po’ i canoni del genere e scorre via come romanzo ricco di intrighi e giochi di specchi, tra cose dette e cose non dette.
C’è il gusto della scrittura innanzitutto: una scrittura che mescola bene leggerezza e azzardo, semplicita narrativa e letterarietà. E c’è la vita, intesa come un qualcosa al tempo stesso di granitico e assorbente. Mary Shelley infatti è lì, tra le pagine del libro, ora monumentale ora fragile, ad accogliere in sé da un lato la storia, la sua,. e dall’altro le storie: quelle di Percy Bysshe Shelley, il più grande poeta romantico, il cui incontro coltiverà il lei la voglia di andare contro alla chiusura mentale della società inglese e del tempo; quelle dei genitori, figure forse eccessive per quello squarcio di secolo; quelle delle matrigne o dei fratellastri che hanno caratterizzato la sua infanzia; quelle degli uomini e delle donne conosciuti nei suoi viaggi in giro per l’Europa.
Adriano Angelini è bravo, bravissimo, a tessere una tela che si fa sempre più grande e ci accompagna per mano verso i grandi eventi della sua vita: quello tragico e terribile che è la morte del suo compagno, avvenuta per mare nei nostri mari; quello “spiritico” e “spettrale” del concepimento di Frankenstein presso Villa Diodati; la malattia, forse un tumore al cervello, che pose fine, prematuramente, ai suoi giorni. Ma soprattutto, lo scrittore, ha il merito di riportare alla luce l’indipendenza, l’orgoglio e la dignità di questa donna che tanto scalpore fece al suo tempo (il mondo religioso e civile considerò lei e le sue opere “scandalose”) e che, solo da pochi anni, il mondo anglosassone ha saputo inserirla (e restituirla) nell’empireo della grande, grandissima, letteratura.