Mario Luzi, una poesia sintonizzata con il divino
A dieci anni della sua morte, il poeta Mario Luzi che avrebbe compiuto cento anni, è celebrato in più parti d’Italia e dimenticato da Sabaudia.
“Posso avere anche inciso, ma io non ho parlato in nome di nessuno e nessuno ha parlato in nome mio.” Da queste parole, si capisce l’umiltà di un grande poeta del Novecento, che se n’è andato giusto dieci anni fa e che ora avrebbe compiuto il secolo di vita. Questo poeta è Mario Luzi. In suo nome si stanno tenendo in molti luoghi d’Italia e non solo (Luzi è conosciuto in tutto il mondo per essere stato candidato più volte al premio Nobel) ambiziosi convegni di studi sulla sua poesia, in prevalenza lirica, anti-petrarchesca, fuori dai confini dell’io e connotata da una forte venatura religiosa. Tant’è vero che tra i suoi capolavori v’è proprio la riscrittura de “La Via Crucis al Colosseo”, chiestagli da Giovanni Paolo II per il Venerdì Santo del 1999. Senza dimenticare però la sua vasta produzione poetica, dalla raccolta “La barca” del 1935, a “Nel magma” del 1963, “Al fuoco della controversia” del 1978 (Premio Viareggio), a “Lasciami non trattenermi” del 2008, l’ultima raccolta edita postuma.
Se Luzi è celebrato in più parti d’Italia, la sua Sabaudia, quella di Alberto Moravia, di Pier Paolo Pasolini e Dacia Maraini, l’ha dimenticato. Proprio lui, la “punta alta” dell’ermetismo fiorentino con Piero Bigongiari e Alessandro Parronchi, che per essere stato presidente per ventiquattr’anni del Premio internazionale di Poesia “Circe- Sabaudia”, fondato assieme all’amico poeta Rodolfo Carelli, venne insignito della cittadinanza onoraria e in occasione del suo novantesimo anno nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Una vita per la poesia, per la parola poetica. Quella “parola poetica – come amava ripetere- che giace in una profondità dove non è che il suo silenzio, del quale deve sbriciolare la dura compattezza, l’impenetrabilità, per accedere alla voce.” Un grande poeta in piena sintonia col modello dantesco. Uno stile senza retorica che contraddistinse questo poeta umile e gentile, partecipe dell’“opera del mondo”. Una poesia profetica, di alta riflessione, la sua. “La poesia – scriveva Luzi negli anni ‘50– respira un profondo bisogno di unità laddove la vita psichica e la vita organizzata degli uomini d’oggi è estremamente frammentaria.”
Dieci anni senza Mario Luzi. Se il compito della poesia è cogliere il molteplice nell’unità e l’unità nel molteplice, Luzi c’è riuscito, con il suo viaggio tra cielo e terra, con la sua voce terrestre sintonizzata con il Divino: “La vita sulla terra è dolorosa,/ma è anche gioiosa: mi sovvengono/ i piccoli dell’uomo, gli alberi e gli animali./ Mancano oggi qui, su questo poggio che chiamano Calvario”.