Mario Luzi: la figura femminile da “La barca” a “Quaderno gotico”
1929- 1938. Sono gli anni della rivista Frontespizio che riunisce attorno a sé generazioni diverse di scrittori tra cui un giovane Mario Luzi che entra a far parte della rivista seguendo Carlo Bo. In questi anni, esattamente nel ’35, con Guanda, Mario Luzi pubblica La barca prima raccolta di versi che testimonia quella sorta di eccitazione romantica di un Luzi che aspirava a fare della poesia una sintesi delle diverse pulsioni, una poesia della fisica perfetta che coniugasse in sé l’osservazione della natura, la fede in Cristo, l’immagine della donna. Quest’ultima soprattutto che tanta importanza riveste nella poetica luziana se è vero, come disse lo stesso poeta, che la sua poesia cercava “l’enunciazione non per simboli ma per figure affettive”. Le donne, ma ancor più le fanciulle, dominano la raccolta La barca, mezzo speciale di navigazione con il quale Luzi cerca di “arrivare al fondo delle cose tutto d’un fiato” tanto da difendere strenuamente il titolo che Guanda avrebbe voluto cambiare. E della centralità della donna nella raccolta se ne ha subito la riprova guardando al primo componimento de La barca: Parca – Villaggio. Poesia dedicata alla madre trasfigurata in moira che intesse storie quotidiane, “il mesto rituale della vita”, cucendo assieme “il passato col presente” andando a creare quella saldatura ad anello che rappresenta il ciclo inarrestabile del divenire universale e la continuità generazionale. Luzi recupera così il mondo della madre, mondo antico, umile e carico di pietas capace di lenire quel senso di fragilità umana che permea tanto quel mondo quanto ogni componimento del poeta. Le figure femminili si susseguono in Canto notturno per le ragazze fiorentine, ritratte simili alle figure senza spessore e peso dei dipinti medievali, pronte a lasciare il “peso alla terra” avvolte in un “biancore notturno”. Simili a fantasmi o ad anime prive dell’ingombro del corpo, le fanciulle, “senza forma, senza calore”, volano via dalla terra traghettandosi verso un altrove più carico d’amore. Sulla terra non c’è un immagine di donna che non sia dolente, povera, “senza voce”: sono le fanciulle “con le fronti pensose”, le madri dalle “pupille amare”, le Ragazze dell’omonimo componimento il cui destino è morire nel paese natio come “la mamma incanutita” fece prima di loro. Sono, infine, Le meste comari di Samprugnano che “salendo a Dio/ saranno nelle sue mani come un fiore/in quelle d’una giovinetta che le ha belle” o Le Fanciulle di San Niccolò con le “membra leggere,/ le mani trasparenti della morte”. Le donne de La barca sono per lo più quindi colte nel momento del passaggio dalla vita alla morte e per questo sono capaci di aprire uno squarcio vero l’aldilà e far risuonare nel cuore dell’uomo quel senso di pietas cristiana che fa da umana consolazione. Con Avvento notturno, titolo emblematico che ci riporta agli anni della guerra incombente, dell’incertezza, dello smarrimento, siamo davanti, per dirla con le parole dello stesso Luzi, ad un “reale che non era reale”, prossimi ad una realtà bifronte e allucinata dove non trova posto alcuna presenza salvifica. A dominare è quella che potremmo definire la poetica dell’assenza in cui, se la figura di donna si affaccia, è un’apparizione fugace di cui subito si perde traccia ( “orma tua dispersa” –Yellow), o resta illeggibile (“Si sparpagliano ombre, sono donne”- All’autunno). Le fanciulle de La barca sono ormai completamente trapassate, relegate in punto dello spazio e del tempo che resta inaccessibile se non per brevi lampi d’immagini. Non a caso in Avvento notturno troviamo la lirica Cimitero delle fanciulle tutta basata sulla contrapposizione dell’eravate iniziale rivolto alle fanciulle e l’io sono del poeta che si dibatte nella sua “solenne irta esistenza”. La donna di Avvento notturno vive nel regno delle ombre coglie i neri fiore dell’Ade ” i fiori ghiacciati viscidi di brina” e se non è immagine mortifera è allucinazione che turba per la sua irrealtà: le fanciulle che percorrono le “vie d’oriente” (Avorio), “le danzatrici che scuotono l’oriente” (se musica è la donna amata), la danzatrice verde che è “origine e parvenza della morte” (danzatrice verde).
Con Un brindisi, se pur nella scia di Avvento Notturno, Luzi ci porta nel pieno della guerra con poesie scritte dal ’40 al ’44 con un brindisi immaginario che chiude la fine di un’epoca e apre ad un futuro a tinte fosche. La donna ricompare sin dalla prima poesia che fa da apertura alla raccolta: Il cuore di vetro. La donna è “un’immagine fredda dagli occhi nichelati” con uno “sguardo inerme” che va ad aprire a tutta una serie di figure femminili che ricordano più la fredda immobilità inanimata delle statue che la viva realtà corporea. Non è un caso che la parola “statua” ritorni più volte nei componimenti di Un brindisi assieme a sintagmi espressivi che rimandano all’idea della fissità e dell’inattuabilità del gesto vitale: “l’occhio deserto e calcinato”, “gesti impossibili”, “bocca chiusa al verbo ed al sorriso”, “corpi taciturni” (Un brindisi), “occhi attizzati fissi” (Quais), “grido soffocato” (Diuturna), “pianto trattenuto”, “gemito rientrato nell’informe” (Viaggio). Si potrebbe continuare a lungo ma bastino le parole di Mario Luzi, a colloquio con Mario Specchio, quando spiega che in Un brindisi c’è “un gelo che vibra, si tende, che è sempre sul punto di spezzarsi come quei gridi che non escono dalle bocche cucite, quelle lacrime che non riescono a essere versate da occhi vuoti”. Le figure femminili di Un brindisi non sono le pietose e caritatevoli ragazze de La barca. Sono emblemi della perennità più dura, quella della morte: sfilano in silenzio sotto gli occhi del poeta senza parlare né piangere; il loro sguardo viene “di là dell’Acheronte” (Viaggio), i loro passi calcano “i cammini /dell’Ade” (Compianto). Un briciolo di speranza si riaccende solo alla fine della raccolta con la poesia Diana, risveglio dove la parola diana rimanda anzitutto al segnale di sveglia per i soldati, ma anche alla figura femminile della dea Diana ed etimologicamente all’immagine della luce. Chiude l’esperienza dolorosa di Un brindisi e apre a quel canzoniere d’amore che sarà Quaderno Gotico, proprio la figura di questa donna capace di rianimare lo spirito del poeta, tanto che Luzi scrive “E tu ilare accorri e contraddici/ in un tratto la morte”. Di Quaderno gotico Luzi scrisse che era “l’album di un amore tanto più esaltante e spiritato, quanto più l’animo ne aveva bisogno dopo l’aridità, la paura, l’angoscia”. È una raccolta la cui chiave di volta sta tutta nella doppiezza di questo sentimento: amore come forza creatrice e rigeneratrice universale ma al contempo sentimento che ci mette in comunicazione con l’impossibilità di abbracciare tutto, con la nostra finitudine. La donna di Quaderno gotico, che recupera l’immagine di una donna – angelo di gusto stilnovista ma dello stilnovismo del Cavalcanti, più complesso e tormentato, è generatrice stessa di questo sentimento del doppio, del “desiderio prossimo a sgomento”, “speranza simile a paura”(L’alta, la cupa fiamma…). La donna di questa raccolta dona al poeta certamente una spinta vitalistica, lo fa “febbrile d’un futuro senza fine” ma seppur porta gioia è “oscura gioia” (Oscillano le fronde, il cielo invoca) tanto da rivelarsi pian piano una “insidiosa presenza” (Ora desta nel lucido fluire). Il desiderio è troppo grande, difficile da riempire cosicché neanche questa donna porta una pace definitiva nel cuore del poeta che scrive “Ah ma l’angoscia in me non è finita!” (Lo sguardo d’una stella umida cade). Tuttavia è proprio tramite Quaderno gotico che Luzi trova il modo migliore per inserire la donna nella sua poesia. Occorre che la figura femminile sia sublimata, inserita nella sfera del ricordo che, se recuperato, si fa dolce e portatore di pace. Figura evocabile ma non corporale, vicina in senso affettivo – spirituale ma non carnale. Ed è la stessa donna a rivelarlo a Luzi quando gli dice “La salvezza sperata così non si conviene/ né a te, né a d altri come te. La pace,/ se verrà, ti verrà per altre vie/ più lucide di questa, più sofferte” (La notte viene col canto).