"Mandami tanta vita" di Paolo Di Paolo

“Mandami tanta vita” di Paolo Di Paolo

Recensione di “Mandami tanta vita” (Feltrinelli, 2013) di Paolo Di Paolo, finalista al Premio Strega.

Mandami tanta vita è l’ultimo impegno romanzesco di Paolo Di Paolo, finalista “outsider” al premio strega 2013 per Felitrinelli. “Romanzesco” dato che l’autore, nonostante abbia solo trent’anni,  ha già dimostrato in più occasioni di essere una penna poliedrica, instancabile, che raramente sbaglia. Finalista nel 2003 del premio per inediti Italo Calvino, e del Premio Campiello Giovani con i racconti Nuovi cieli nuove carte, si è occupato di sceneggiature per il teatro, e ha curato antologie degli scritti di Indro Montanelli, Antonio Debenedetti, e Nessuno si accorse che mancava una stella di Antonio Tabucchi.

La nuova prova di Di Paolo è invece un “romanzo totale”, che assume una visione olistica in una trama che va oltre il semplice raccontare – e cattura, con uno stile simile a una sinfonia carica di pathos, elementi divergenti, inquietudini esistenziali, il peso della storia mescolato alla finzione (o viceversa), l’impegno militante e appassionato, amori e destini che si attraggono e si allontanano – come facessero parte di uno strano gioco dal sapore metallico, di calamite girate al contrario. 

Moraldo è uno studente di lettere, nella Torino fascista del 1926, ha ventiquattro anni, e gli occhi teneri di un poeta adolescente. Vive nell’imbarazzo della propria apatia ( lui l’eterno indeciso ), e coltiva una segreta ammirazione per un coetaneo di nome Piero. Fin da subito “la faccia di quel giovane lo aveva indispettito, e riempito di curiosità”. Occhialetti tondi da miope e fisico sparuto, Piero tiene conferenze colte, discorsi politici, ha fondato una casa editrice e una rivista, è sposato e ha già un figlio. Legge, studia, scrive tutto il giorno, e fugge. Fugge a Parigi in esilio, lontano dalla ferocia dei fascisti che lo avevano percosso, e rinchiuso in carcere. Anche Moraldo giungerà a Parigi, per un altro motivo; una valigia scambiata con una giovane fotografa, di cui s’innamora. Gli occhi neri di lei, grandi e rotondi, ipnotici, convinceranno Moraldo a seguirla fino alle rive della Senna.

Il punto di questa narrazione, di questa incredibile vicenda, trova a mio avviso la sua interpretazione più giusta nella silloge in apertura di romanzo, un verso del poeta Dylan Thomas – I advance for advance for as long as forever is (vado avanti quanto dura il sempre) – oppure “raccogliere i cocci, rimetterli a posto, rimettersi in piedi alla svelta… e credere nelle idee” – perché almeno quelle, le idee, ci sopravvivono.

Il romanzo di Di Paolo, oltre a essere una prova narrativa in grado di entusiasmare con uno stile garbato e mai eccessivo (raro di questi tempi), è una lucida analisi storico-interpretativa della vita di un grande oppositore al regime fascista, Piero Gobetti. Di notevole filigrana il lavoro di ricerca storica compiuta dall’autore, che rende onore a un leader, eroe dell’attivismo febbrile, acuto e rivoluzionario – e ne mette in risalto il lato meno ruvido, non dell’intellettuale intransigente, ma quello di giovane sposo e padre preoccupato per la propria sorte. Come dire: ecco, sono stato costretto – perché il senso della libertà e il senso della vita sono la stessa identica cosa.