“Mal’Esseri” di Saverio Capozza
Recensione di “Mal’Esseri” di Saverio Capozza (L’Erudita Editrice, 2013).
Mal’Esseri, la raccolta di racconti di Saverio Capozza (classe ’87) di fresca pubblicazioni per i tipi di L’Erudita Editrice, è un lavoro organico, maturo, letterariamente valido e che colpisce allo stomaco con la forza di una penna sapiente e studiata.
I tredici racconti del volume si connotano, sin da primo impatto, per una lingua studiata sin nei piccoli dettagli, tant’è vero che l’autore decide di agire con questa come fosse materia da plasmare a suo piacimento. Si dedica alla creazione di neologismi, agisce sugli avverbi come fossero orpelli, eppure indispensabili, che vadano ad arricchire parole che altrimenti perderebbero in forza ed esplosione di significato. Il linguaggio utilizzato dai personaggi è sempre molto forte e diretto, certamente non pomposo né artificioso, piuttosto sempre autentico, in una maniera che ricorda le Storie di ordinaria follia di Bukowsky e le rappresentazioni vitali del primo Pasolini.
Nell’uso ardito della lingua del giovane Saverio Capozza fanno capolino termini tratti dal suo dialetto, quello di Andria, che potrebbe passare come un generico barese e che risulta sempre comprensibile alla lettura. Laddove non lo fosse, sono le note precise a renderci palese senso e significato delle parole apparentemente oscure. Questa peculiarità, che interessa la totalità dei racconti, accresce ulteriormente la caratterizzazione di personaggi e luoghi, sospesi, sia gli uni che gli altri, in un luogo e in tempo fatti di una contemporaneità cruda e violenta e di un passato contadino e autentico.
Province di un sud dimenticato e megalopoli dai tratti newyorkesi paiono mischiarsi e impastarsi in una cornice che accompagna i racconti rendendoli parte di un organico intento narrativo.
Si finisce col restare sospesi e invischiati in questi tempi e spazi indefiniti.
Quelli di Saverio Capozza sono personaggi vulnerabili, paranoici, a volte sbruffoni, spesso cervellotici e vittime del loro male di vivere. In stretto contatto con i loro corpi più che con le loro anime, si lasciano trascinare dagli eventi come fossero da sempre sopraffatti dalla vita stessa, come non avessero più nulla da chiederle se non una boccata di sigaretta e uno scambio di battute con altri personaggi decadenti o con loro stessi, in questo continuo chiudersi nel bozzolo che, nella successione dei racconti, coinvolge con pathos con i racconti della serie Larubiana (abitata da un tale Jake Larubià, intellettualucolo scribacchino sessista e paranoico con manie di grandezza e libri da titoli quantomeno stravaganti) e raggiunge il suo apice narrativo con L’ultima cena e con la chiusa de La notte porta un cappello largo; rendendo la raccolta una testimonianza scritta del distaccamento dell’uomo da sé, prima che dagli altri.
L’autore, nonostante la giovane età, ha una padronanza e una dimestichezza con la scrittura difficili da riscontrare, in questo periodo di sovraffollamento letterario, tra coloro che esordiscono nel mare magnum della, spesso confusa, editoria italiana.
Soprattutto, essendo l’opera scevra di qualsiasi intento di intellettualità posticcia (poiché dotata di vita vera, non di mascheramento pseudo-letterario) ha la forza propulsiva di un esordio che lascia col fiato sospeso a una sensazione di “inciampo” e dolore fisico, oltreché psicologico.
Allora facciamoci male, eppure/oppure bene, con una lettura scomoda.
Originariamente uscito su “I Think Magazine – Febbraio 2013”:
http://www.ithinkmagazine.it/libri/5464-recensione-saverio-capozza-malesseri.html