“L’ultimo degli ingiusti” di Claude Lanzmann
Recensione di “L’ultimo degli ingiusti” (Skira, 2015) di Claude Lanzmann.
Chi di noi ha mai cercato di capire realmente come era la vita nei ghetti durante gli anni delle persecuzioni ebree? Cosa accadeva oltre quel filo spinato, al di là degli stereotipi e dei cliché che ci vengono raccontati?
Claude Lanzmann, attraverso l’intervista al decano del Consiglio degli Anziani degli ebrei Benjamin Murmelstein, ci aiuta a comprendere meglio cosa si celava dietro l’inferno delle persecuzioni antisemite. Una serie di domande che hanno lo scopo di svelare la personalità e le intenzioni di uno dei personaggi più controversi che la storia recente ci ha regalato, di spiegare le ragioni per le quali venne detestato dalla sua comunità e condannato all’esilio, che diventano invece un racconto diretto e spiazzante della vita degli ebrei negli anni del loro sterminio.
“Il Fuhrer dona una città agli ebrei”, titolavano i giornali nel 1941. E questa fu l’idea che rimase per anni nell’immaginario collettivo di quel tempo: Theresienstadt, una tranquilla cittadina in cui migliaia di ebrei vivevano e lavoravano con le loro famiglie, conducendo una vita dignitosa e serena. Proprio con queste prospettive loro stessi lasciavano le loro città e le loro case, sognando un futuro che era destinato ben presto ad infrangersi sul muro di cinta che circondava l’intero paese. Una sorta di limbo in cui coloro che erano destinati alle camere a gas passavano per un breve lasso di tempo, quello necessario per costruire il consenso attraverso una propaganda bieca e spietata che raccontava realtà utopiche.
Una propaganda che il decano Murmelstein è stato accusato di favorire. Perché aveva rapporti confidenziali con le autorità naziste, perché era l’unico a cui venne concesso di sedersi al tavolo con uno dei più alti funzionari tedeschi, perché mentre migliaia di suoi connazionali venivano mandati a morire lui partecipava all’azione di abbellimento della città che serviva proprio per alimentare la propaganda nazista. Lui, l’unico decano di Theresienstadt rimasto in vita. Ma anche quello che rifiutò di emigrare, nonostante avesse l’opportunità di farlo. Perché leggendo scopriremo che dietro ad ogni gesto che gli è costato il processo prima e l’esilio poi, si nasconde un carattere forte, dominante, a tratti forse anche un po’ arrogante, però deciso, che tra mille paure, inevitabili quando si vive in un contesto così aberrante, cerca soluzioni, spesso impopolari, per aiutare la sua gente. Gli ebrei giovani e quelli anziani, i ricchi e i poveri. Perché quello che in questo libro ci viene raccontato è che non tutti erano uguali e che era la legge del più “potente” a prevalere.
Per questo e per tanti altri motivi “L’ultimo degli ingiusti” va letto e riletto, quasi divorato. Per chi ha sete di conoscenza, per chi pensa che sia necessario sapere quanto l’umanità tutta possa essere crudele e farne un esempio da non imitare mai più. Oppure, da affrontare con furbizia. E infine, per rendere la giusta dignità ad un uomo che ha sconfitto le sue paure e l’incubo della morte per aiutare un popolo che non ha saputo comprenderlo e apprezzarlo come avrebbe meritato.