“L’incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea” di Romain Puértolas
Recensione di “L’incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea” (Einaudi, 2014) di Romain Puértolas.“La prima parola che pronunciò l’indiano Ajatashatru Patel arrivando in Francia fu una parola svedese. Ikea”.
Lo stimatissimo fachiro sopra citato ha intrapreso questo lungo viaggio per poter comprare un “comodissimo” letto di chiodi, ma anche per poter cogliere la ghiotta opportunità di mettere il naso fuori dalla sua realtà abituale.
Non tutto però va secondo le previsioni e l’uomo dal nome impronunciabile, che per sostentarsi durante il soggiorno ha solo una banconota falsa, degli occhiali utilizzati per congegnare truffe e il suo “multiforme ingegno”, si trova chiuso in un armadietto imballato e spedito in Inghilterra.
Comincia così la personalissima odissea del nostro novello Ulisse che viene sballottato in diversi Paesi e in ogni tappa del suo percorso subisce degli elettroshock emotivi, come lui stesso dice, che lo sconvolgono a tal punto da non voler essere più lo stesso: una vita dura sin dall’infanzia, infatti, lo ha costretto a diventare un bugiardo, un approfittatore e un impenitente imbroglione.
Ora invece lo hanno colpito l’ingenuità e il calore della giovane Marie, lo ha commosso la storia dei clandestini sudanesi, moderni avventurieri, che lo hanno salvato e fatto uscire dall’armadio; non si aspettava poi di scrivere un romanzo sulla sua camicia nella stiva dell’aereo che lo conduceva a Roma e di essere aiutato e ospitato da una celeberrima attrice.
Ricco di rocamboleschi colpi di scena, ma anche di momenti più intimi ed intensi, questo romanzo è un tripudio di fantasia per quel riguarda la trama e per ciò che concerne la lingua – basti pensare alle divertentissime nonché frequenti distorsioni dei nomi dei personaggi – ma è anche un modo poco canonico per riflettere su questioni di fondamentale rilevanza, anche di stringente attualità.
Il gusto per l’affabulazione si percepisce chiaramente (non è certo casuale che il fachiro non solo inventi per necessità, ma senta poi l’esigenza di scrivere una storia) ed è arricchito dalla forza con cui è tratteggiato il protagonista (esilarante, ma tutt’altro che superficiale) e dalla capacità dell’autore di creare una forte empatia con il lettore che viene coinvolto, stupito e commosso.
Alla fine di queste mirabolanti avventure, in effetti, resta l’essenziale, resta il rapporto di un uomo, che si è perso non solo dal punto di vista geografico, con se stesso e con gli altri e restano i sentimenti, quelli più puri e positivi che vincono sulla negatività e sulle difficoltà.