L’importanza di tradurre “Var” di Saša Stojanović
“Var” di Saša Stojanović è un romanzo in cui ci troviamo di fronte alla guerra nella ex Jugoslavia come specchio di ogni guerra contemporanea raccontato da chi è stato costretto a viverla in prima linea.
Quando nel 1999 iniziano i reclutamenti per la spedizione in Kosovo, per motivi di lavoro Saša Stojanović si trova in Grecia, dove avrebbe potuto rifugiarsi come tanti altri ed evitare il rientro in patria, ma il senso di responsabilità prevale su ogni altra cosa. Siccome la legge prevedeva che l’obbligo militare riguardasse uno solo dei figli maschi in ogni casa, la sua assenza sarebbe stata la condanna sicura del fratello minore che avrebbero spedito in guerra al posto suo. Con l’intento di difenderlo, ma anche di proteggere contemporaneamente la futura moglie in attesa di un bambino che ugualmente avrebbe pagato a caro prezzo le conseguenze di una sua eventuale disobbedienza Saša, dunque, rientra nel paese e viene mandato al fronte in qualità d’inferiere della 175. brigata di difesa contraerea. Mai stato un uomo di facili illusioni, ma sul campo di battaglia sparisce definitivamente ogni loro parvenza: il governo che li aveva mandati a uccidere ed essere uccisi non si prende briga dei suoi uomini. Tutte le guerre saranno sempre uguali per il freddo, per la fame, per la totale mancanza di senso in quello che accade. I soldati sono carne da macello che lui si ritrova a dover aiutare, a mani nude praticamente in assenza di materiale sanitario primario. È cosciente fino in fondo di non poter fare alcunché di significativo, né per se né per gli altri.
Il fatto che l’autore stesso abbia combattuto in quella guerra contribuisce naturalmente alla veridicità delle vicende narrate, anche se a mio avviso questo non basta per esaltare i pregi indiscussi di questo libro. Il primo di essi è la mancanza assoluta di una qualunque presa di posizione. Non è un libro politico che appoggia questa o quella idea, ma una voce spietata che senza scrupoli denuncia i crimini in quanto tali. Poco importa da chi sono stati commessi. La sua critica in egual modo è rivolta alle gerarchie militari serbe da cui dipende la vita e la morte di tanti soldati semplici arruolati contro la loro volontà, quanto a coloro che “per risolvere la situazione” decidono di bombardare il Paese. Per le uccisioni non può esistere mai una giustificazione ragionevole, per quanto talvolta le grandi potenze mondiali desiderino convincere l’opinione pubblica che sono l’unica via d’uscita. Il volantino riportato in copertina è un effettivo documento distribuito dagli aerei della NATO, ridicolo quanto lo può essere un preavviso di bombardamento in cui ti viene detto salvati finché sei in tempo, e sopratutto se fatto ex post factum a bombe ormai sganciate.
In secondo luogo, e non meno importante, siamo difronte a un capolavoro letterario anche dal punto di vista strutturale. La sfida maggiore di ogni scrittore è da un lato quella di trovare la forma giusta per raccontare la propria storia famigliare senza restare prigioniero della propria individualità, dall’altro poter trattare le tematiche complesse come lo è la guerra, senza pathos. È un libro che ti appare prima spietato e terribile, disgustoso, poi semplicemente vero. In un inferno molto terreno i sei evangelisti in ricerca della Verità sono costretti rendersene conto che né il bene né il male esistono, e che la sottile linea che separa una vittima da un carnefice il più delle volte cede.