Letture di una militante poetica // #3. José Ortega y Gasset, Yves Bonnefoy
Siamo abituati a pensare il libro come un oggetto inanimato. Da sempre immobile, se ne sta nei ranghi impolverati delle librerie, nell’attesa che uno sguardo curioso si poggi finalmente sul suo dorso. A mio parere, la realtà è più complessa e la dinamica tra oggetto e soggetto va ripensata.
È ben noto come T. S. Eliot racchiudesse – poeticamente parlando – i sentimenti nelle cose. Il correlativo oggettivo stabilisce un dialogo sentimentale tra un oggetto e uno stato d’animo. Lo stesso discorso vale per il libro. Certi testi, non siamo noi a cercarli, sono piuttosto loro ad interpellarci. Capita addirittura che, senza volerlo, ci troviamo a leggere due libri apparentemente diversi, entrambi entrati a far parte della nostra libreria dopo essere stati loro stessi ad imporsi alla nostra attenzione. E, per di più, tutti e due sembrano toccare la stessa problematica, l’uno filosoficamente e l’altro poeticamente parlando.
«Amor meus, pondus meum, illo feror, quocumque feror» (il mio amore è il mio peso, dove lui va, vado anch’io), scriveva sant’Agostino, mettendo in luce come l’amore è «gravitazione verso l’amato», emigrazione perpetua in direzione dell’oggetto del nostro desiderio. Ora, proprio su quest’ultimo punto si sono soffermati i due autori che ho casualmente letto la settimana scorsa. E questa lettura combinata ha creato un inatteso dialogo polifonico: mentre il primo sembrava pormi delle domande, il secondo tentava già di rispondere, e viceversa, svelando nuove ipotesi, allargando il raggio delle interpretazioni attorno ad un argomento comune, l’amore, il desiderio e l’ossessione.
L’uno, José Ortega y Gasset, fa parte dei più importanti pensatori spagnoli del secolo scorso. L’altro, Yves Bonnefoy, poeta e saggista francese, vive a Parigi e insegna al Collège de France. L’ultimo libro di Bonnefoy, appena pubblicato dalle Edizioni Mercure de France, Orlando furioso, guarito, De l’Arioste à Shakespeare, analizza il desiderio e la pazzia del protagonista dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Riallacciandosi al discorso di Michel Orcel (Italie Obscure), secondo il quale la pazzia di Orlando rappresenta il centro geometrico del poema, Bonnefoy interpreta l’amore che il paladino nutre nei confronti di Angelica in quanto proiezione, idealizzazione, e non come un vero sentimento amoroso. La scissione che porta Orlando alla follia si consuma nel divario tra l’essere e l’apparire, e si concretizza nella figura fuggevole, astratta e chimerica di Angelica. Non è del resto un caso che nel Furioso stesso, Orlando veda la vera Angelica due volte sole nel corso del poema, mentre in tutte le altre occasioni, la donna che il paladino crede di vedere è il frutto di un incantesimo. È così che la principessa del Catai appare davanti al cavaliere solamente all’interno del castello di Atlante, mentre questa cerca di farsi aiutare da Sacripante, e poi sulle coste della Francia, quando Orlando – ormai pazzo – corre nudo per la spiaggia, senza neppure riconoscerla. Attraverso la dicotomia del sentimento di Orlando, l’Ariosto sembra quindi interrogare una questione fondamentale, la distinzione tra il desiderio (la proiezione) e l’amore (la prossimità dell’altro).
Ora, queste due facce della stessa medaglia non si escludono vicendevolmente, l’amore e il desiderio coesistendo nello stato amoroso. Tuttavia, ed è proprio qui che interviene José Ortega y Gasset, spesso il desiderio si rivela effimero ed evanescente, quando brama l’immagine, la sua proiezione dovuta alla venerazione di un oggetto inaccessibile. Nel libro Sull’amore, che raccoglie alcuni saggi che l’autore pubblicò su El Pais durante gli anni 20’ del secolo scorso, Gasset cerca di distinguere questi due sentimenti, entrambi appartenenti alla sfera amorosa. L’autore non nomina affatto l’Ariosto, mentre si focalizza sul saggio di Stendhal, De l’Amour, per mostrare come la teoria dello scrittore francese rappresenti l’idea di un amore illusorio e fallace. Gasset arriva alla conclusione che non solo Stendhal non ha mai amato, ma che per di più non è mai stato amato. La «cristallizzazione» prevede difatti l’adulazione delle perfezioni del soggetto desiderato, di modo tale da forgiarne l’idea. In questa dinamica per lo più auto-referenziale, nessun movimento è prodotto verso la persona amata, trattata come il simulacro di un’immagine.
Allo stesso modo, il desiderio di Orlando per Angelica si rivela vuoto ed effimero, per svanire nell’evanescenza propria della sua inconsistenza. Rivenendo al testo di Yves Bonnefoy, l’autore sottolinea come «chi ama l’altro in immagine si dedica alla parte di se stesso che ha prodotto quest’immagine, e si riduce inesorabilmente ad essa» (p. 58). Se l’amore è per Gasset un fenomeno dell’attenzione, per l’Orlando dell’Ariosto si rivela in definitiva un fenomeno degno dell’ossessione. L’idea fissa, tanto ostinata quanto immotivata di Orlando nei confronti di Angelica, degenera in una mania e svela la natura vana dell’amore del paladino.
Questa degenerazione è ripresa, a conclusione del discorso di Bonnefoy, da Shakespeare. Nella sua commedia As you like it, il poeta inglese mette in scena l’amore idealizzato di Orlando per Rosalinda. Quest’ultima, che a differenza di Angelica ricambia l’amore per il paladino, consapevole dei rischi dell’idolatria che Orlando le manifesta, riesce a curare l’amato. Shakespeare – riallacciandosi direttamente all’Orlando furioso di Ludovico Ariosto – rappresenta così l’amore veritiero, a discapito delle chimere sentimentali. Amore che, scrive Gasset: «ha come sinonimo di essere accanto all’amato, in contatto, in una prossimità più profonda della prossimità spaziale. Significa essere veramente con l’altro». (p. 56).
Edizioni consultate:
José Ortega y Gasset, Études sur l’amour, Rivages poche, Petite Bibliothèque, Paris, 1992.
Yves Bonnefoy, Orlando furioso, guarito, De l’Arioste à Shakespeare, Essais, Mercure de France, Paris, 2013.
Michel Orcel, Italie obscure, Belin, Paris, 2001.