"L'esatto contrario". Conversazione con Giulio Perrone

“L’esatto contrario”. Conversazione con Giulio Perrone

Una breve chiacchierata con l’amico Giulio Perrone che ha appena pubblicato il suo primo romanzo – “L’esatto contrario” – con Rizzoli.

Con Giulio Perrone, amico e collega, c’è un rapporto umano e professionale che dura ormai da un decennio. Collega nel lavoro, Giulio è colui che, come editore, ha pubblicato, tra l’altro, alcuni dei miei testi. Questa chiacchierata nasce però da una prospettiva diversa: non il Giulio Perrone editore, imprenditore e voce vivacissima dell’editoria indipendente romana ma un Giulio Perrone nella veste inedita di scrittore.

Ebbene sì: Giulio Perrone ha scritto un libro. Anzi no, un bel libro. “L’esatto contrario”, edito da Rizzoli, è infatti un giallo che ti prende dalla prima all’ultima pagina.

Un libro… Come nasce questo “nuovo” Giulio Perrone?

Nasce in qualche modo da un ritorno al passato perché prima di iniziare a fare l’editore (nel 2005) la scrittura insieme alla lettura erano le mie due grandi passioni. La scelta di aprire la casa editrice mi ha spinto a metterla da parte per dedicarmi appieno ai libri degli altri, cosa che considero ancora adesso un grande privilegio e l’avventura più bella che possa capitare sia quando si scopre un talento sia quando si ha la possibilità di lavorare con un grande scrittore. Alla fine del 2012 però la voglia di tornare a scrivere è venuta fuori con forza, così ho deciso di mettermi in gioco.

“L’esatto contrario” possiamo classificarlo come giallo o thriller ma forse è entrambe le cose. Anche te sei dell’opinione che oggi l’unica forma di narrativa possibile viene da questi generi?

Non saprei sinceramente. Posso dire di aver fatto questa scelta perché la trama noir si prestava molto alla storia e al personaggio che volevo raccontare e anche perché considero questo genere molto adatto a raccontare la realtà contemporanea.

Il romanzo è ambientato a Roma. La capitale torna in tutte le sue forme (la “città bene” di corso Trieste; quella popolare e universitaria di San Lorenzo; quella multietnica e in fondo anche molto provinciale). Quanto sono importanti i luoghi quando si scrive un libro?

Sono essenziali se si vuole dare una cornice realistica al libro e anche se si vogliono caratterizzare bene i personaggi. Nel mio caso la scelta è stata obbligata un po’ perché è la città in cui da sempre vivo e che amo, ma anche perché mi piaceva il tono, il sottofondo ironico anche se a tratti amaro che ha questa città in tutte le sue espressioni. Un tono e uno stile che ha molto a che fare anche con il protagonista della storia.

Il punto di partenza del romanzo è un omicidio di tanti anni prima. Secondo te bisogna fare sempre i conti con il proprio passato?

Credo sia inevitabile anche se spesso per fortuna non si tratta di un passato dai toni così forti. Nel caso del protagonista si tratta anche di un’occasione di rimettersi in gioco, di uscire da una certa apatia che lo caratterizza e che lo spinge a non voler mai rischiare troppo.

C’è qualcosa in questo “fattaccio” che mi ricorda il caso Marta Russo (anche se il coinvolgimento sessuale non fu mai provato), sarò forse l’ambientazione universitaria e la facoltà di Giurisprudenza. Quello fu un caso che mi colpì moltissimo e credo che non può non essere passato per la testa anche a te. Mi sbaglio?

In realtà tutto parte da un fatto di cronaca che lessi sul giornale ma non successo a Roma. Il fatto di Marta Russo colpì molto anche me e credo sia inevitabile non pensarci ma devo essere sincero, nella narrazione volevo staccarmene il più possibile proprio perché si tratta di qualcosa che è troppo forte come ricordo nella memoria di tutti e invece nel libro entriamo in una storia con personaggi totalmente di fantasia.

Del protagonista si sa che si tratta di un giornalista – in fondo strampalato e un po’ pigro – che scrive su un giornale da quattro soldi; che vive con due coinquilini molto particolari; che è di provata fede romanista. Quest’ultimo aspetto – da laziale – mi piace un po’ meno ma è l’unico che posso far coincidere con certezza con la tua persona. C’è qualcosa altro di autobiografico nel carattere del protagonista? E nel romanzo?

Credo che il protagonista, tolta la fede romanista che tu notavi, abbia molto poco di me negli atteggiamenti e soprattutto in quello che ha costruito nella sua vita. Ci sono invece qua e là tanti dettagli, tante piccole storie che inserisco raccontate da lui o da altri personaggi e che appartengono al mio vissuto, come tanto ho rubacchiato qua e là a persone che conosco per costruire i protagonisti secondari.

Mi piace molto la figura dello zio. Pasoliniano e, a suo modo, affascinante… Quanto ti sei divertito a caratterizzare i personaggi?

È stata sicuramente la cosa più divertente anche perché sia nei libri che nei film amo molto che i personaggi, soprattutto quelli secondari, siano ben caratterizzati e vivi, sanguigni. Ho provato a fare lo stesso e ne sono venute fuori delle figure che, almeno a quanto dicono i lettori, divertono e restano impresse anche se non entrano troppo nella trama gialla del libro. Lo zio, Italone, che tu citavi è uno dei più riusciti e anche uno dei miei preferiti con quel suo modo particolare di incarnare la romanità.

Il finale in fondo rimane aperto (sì, lo so non ne possiamo parlare) e mi fa pensare che in fondo potrebbe non finire qui. Ho ragione?

Potrebbe sì. È un’ipotesi su cui sto riflettendo anche se a chi leggerà il libro dico che un’eventuale altra avventura di Riccardo potrebbe spiazzarli e non rispondere subito agli interrogativi che si porranno.

C’è qualcuno che devi ringraziare per la realizzazione di questo libro? Chi ti ha spronato a buttarti nella scrittura?

Ci sono tante persone perché, come sai bene, un libro non è mai espressione del lavoro di una sola persona. Parto da Michele Rossi che ha creduto per primo nell’idea al punto da spingermi a continuare qualcosa che avevo solo iniziato, accogliendomi in Rizzoli. Poi Stefano Izzo con cui ho lavorato per tutto il corso del libro. Su tutti poi mia moglie, nonché editor anche lei e cofondatrice della GPE, Mariacarmela Leto che ha fatto diventare il libro quello che è oggi, dandomi suggerimenti fondamentali sullo stile e le atmosfere del romanzo. Non posso dimenticare poi Maddalena Cazzaniga, Simone Marchi e Francesca Cinelli che stanno aiutando il libro da quando è uscito lavorando con impegno, amicizia e dedizione alla comunicazione e al  lancio.

Da editore indipendente a scrittore per una casa editrice che fa parte di un gruppo tra i maggiori in Italia. Sono due mondi così lontani?

Lo sono per tanti aspetti come è immaginabile, ma posso dire di aver incontrato in questa avventura tante persone che sono mosse dalla mia stessa passione per i libri. Credo che finché resta viva questa fiamma in fin dei conti le dimensioni, la forza editoriale e tutto quello che una major si porta dietro restino comunque dei dettagli.

Dammi tre motivi per cui un lettore dovrebbe comprare e soprattutto leggere il tuo romanzo.

Ultimamente su molti blog va di moda far dire all’autore ironicamente i motivi per non leggere un libro quindi sono più preparato da quel lato, ma ci proverò affidandomi anche a quello che mi è arrivato in queste settimane dai lettori. Pare che si legga in tre ore e che ci si diverta e si rida parecchio nonostante si tratti di un noir. Poi mi rivendo una cosa divertente, che mi ha fatto molto piacere, detta dall’amico scrittore e grande giallista Maurizio de Giovanni durante la presentazione napoletana: “A pagina 2 mi avevi già fregato. Ero al fianco di Riccardo e l’ho seguito senza potermi staccare fino alla fine”.

Grazie per questa chiacchierata. Buon viaggio a te e a questo bel libro.

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