“L’amore ai tempi della Telecom” di Carmelo Albanese
Recensione di “L’amore ai tempi della Telecom” di Carmelo Albanese.
“Quello che succede nelle aziende negli ultimi tempi ha più a che fare con il nazismo che con il lavoro”, o comunque – aggiungo io – con una visione totalitaria, che omologa il lavoratore, gli nega la sua personalità. Il lavoro dovrebbe essere l’espressione collettiva e armonica delle individualità di ognuno, e invece diviene un mero tritacarne di attitudini, che se si volesse avrebbero tutta l’opportunità – per il bene anche dell’azienda stessa – di trovare giusta espressione, conformemente pure alla diversità di ruoli e alla loro importanza.
Il lavoro schiaccia le esistenze, le veste di una divisa comportamentale, plasma modi di pensare e di agire, genera il peggio da ognuno. Il lavoro oggi non nobilita, ma omologa, riduce a puro ingranaggio, ad inerzia di una volontà dai contorni vaghi e soprattutto indipendenti dagli obiettivi delle mansioni. Tutto ciò è relativo ad una buona fetta della realtà, anche se c’è una “grande minoranza” che va in direzioni positive, si mette in gioco, costruisce il futuro.
La cosa più logica che un lavoratore possa pensare è che una delle mission di una grande società di telecomunicazioni sia quello di proporre i servizi migliori, di investire in ricerca e sviluppo. Spesso queste istanze si trasformano in piccoli ruscelli che sfociano nel mare magnum di obiettivi e disposizioni diverse, aliene dal contesto e dalle istanze progettuali.
Da ragazzino avevo una confortevole gabbietta con due criceti. Questi deliziosi roditori devono fare qualche cosa, non possono passare tutto il tempo a mangiare semi di girasole, inoltre giustamente ambiscono a “lavorare”, quindi generalmente si dota la gabbietta di una girella dove il criceto lavoratore possa correre e profondere energie. A cosa serve quel movimento? Assolutamente a nulla, sarebbe da considerarsi anche profondamente “antieconomico”. Da ragazzino pensai di collegare alla girella una dinamo tipo quella delle biciclette, che serve per alimentare il faro anteriore, ma la proposta fu bocciata dagli amichetti. Il girare in continuazione nel tapis roulant circolare serve solo a far muovere il criceto e a fargli consumare le energie. In questo modo lo potete tenere in gabbia. Se lo immobilizzate o non lo fate mangiare il roditore si ribellerebbe, o nei suoi limiti proverebbe un forte disappunto oltre che sofferenza, invece se lo fate correre e gli date “il pane quotidiano” lo controllate, lo plasmate per bene a una certa domesticità. In breve tempo scoprite che si è imbolsito, i suoi movimenti sono sempre meno scattanti, ha perso l’impeto selvaggio, la sua verve di scoprire ed esplorare il mondo: l’avete rammollito ai vostri voleri. In senso relativo ovviamente…Ai miei criceti volli un gran bene, ma erano pur sempre in gabbia.
È la vecchia tattica della rana: prendete una pentola, fate bollire l’acqua, buttateci una rana e vedrete che questa salterà subito fuori dalla pentola (non lo fate, è solo in senso figurato ovviamente), mentre se mettete l’anfibio in acqua fresca nella stessa pentola, scoprirete che sguazza con piacere, godendo anche della frescura…nel frattempo accendete il gas…La rana a poco a poco morirà senza rendersene conto. È questa molta cultura del lavoro oggi: una pentola mortifera.
“L’amore ai tempi della Telecom” è una discesa agli inferi dei ranocchi-lavoratori, dove solo pochi si salvano. Attraverso le varie vicende della privatizzazione della Globalcom e dell’amore tra Christian e Maria, Carmelo Albanese con sapiente maestria ci conduce nell’acqua bollente della rana e modula il gas al minimo, per poi alzarlo, fino a fare la cronaca di un’agonia, ma il suo è un libro estremamente vitale. È la ferma presa di coscienza del lavoratore. È una marcia verso una rinnovata consapevolezza, che si fa impegno intellettuale e civile, e il tutto attraverso i ripensamenti, gli alti e i bassi inevitabili. È una coscienza rinnovata perché il protagonista da ragazzo aveva partecipato a quel grande e importante movimento universitario che è stato La Pantera.
L’autore è abile e originale nel trovare un contrappunto con le vicende di Macondo, il villaggio del capolavoro di Marquez “Cent’anni di solitudine”, e anche nell’utilizzare dei nomi alternativi a uffici, centri, dislocazioni, che sono mutuati da quelli di noti istituti penitenziari o da altro. Ciò paradossalmente rende più pregnante e realistica la descrizione della condizione dei lavoratori, il loro essere merce nei “campi di concentramento”, in sostanza fornisce una visione più chiara di certe dinamiche.
Non voglio cadere in una certa enfasi, ma se “il talento sta nelle scelte” – come scritto nella front page della casa editrice, la scelta di pubblicare questo romanzo da parte della Ensemble, emergente e in ascesa, dimostra tutta la sua giustezza, la sua forza, direi anche quella freschezza che è negata ad alcuni carrozzoni, vecchi e nuovi, perché abbiamo appreso che si può essere nuovi cronologicamente, ma vecchi e superati nelle proposte.
Voglio aggiungere che ci sono non poche convergenze con il mio romanzo “I giorni dei giovani leoni”, che affronta in parte gli stessi temi, ed è stato un piacere personale poter fare nella lettura un confronto in questo senso, misurarmi nelle esperienze. Anche il libro di Carmelo Albanese è da considerarsi un percorso iniziatico, di indubbio valore sociologico e anche antropologico, nel quale molti potranno ritrovarsi e altri amplieranno le loro consapevolezze. Da leggere!