“La zattera” di Olivier de Solminihac e Stéphane Poulin
Recensione di “La zattera” (Orecchio Acerbo) di Olivier de Solminihac e Stéphane Poulin.
Orecchio acerbo ci sorprende ancora con una nuova uscita che viene da oltralpe.
Olivier de Solminihac e Stéphane Poulin uniscono le loro doti per creare a una breve – brevissima – storia che prende vita tra disegni dai colori pastello e tanta dolcezza.
I tre protagonisti finalmente approfittano del primo giorno d’estate per andare al mare.
Michao, l’adulto del terzetto – il rapporto tra i tre protagonisti non è mai esplicitato ma dal modo in cui interagiscono, sembrano essere parenti – dimentica il necessario a casa: il pallone, i secchielli, gli asciugamani. Persino i costumi da bagno.
Impossibilitati persino a fare il bagno e giocare con l’acqua, i tre vedono la loro gita naufragare in un disastro: come ci si può divertire in spiaggia se non si può fare il bagno e se non si può giocare con la sabbia?
Le nuove generazioni sono troppo prese da cartoni animati esagitati e da videogiochi violenti e quando si ritrovano senza di essi o un loro sostituto – come il pallone e i secchielli dimenticati da Michao – si sentono persi, sono letteralmente spaesati. Non sono abituati a inventarsi i giochi, la loro fantasia è sedata dai pixel super colorati della loro consolle.
Verrebbe appunto da chiedersi: Michao è stato previdenziale? Ha dimenticato i giochi di proposito per dimostrare, non tanto ai suoi due amici quanto ai lettori, che non serve possedere qualcosa per essere felici? Che non serve qualcuno o qualcosa che ci intrattenga per non annoiarsi?
Forse è semplicemente sbadato, sbadato e bonario come lo sono gli orsi nell’immaginario collettivo, ma Michao sembra davvero conoscere quel segreto atavico che la nuova generazione, troppa presa da un materialismo che non fa onore alla loro età, ha dimenticato: non servono secchielli, palloni o palette per sconfiggere l’ennui se si ha una fantasia scevra da ogni malizia e azzurra come il mare illustrato ne “la zattera”. Bastano pochi legnetti, qualche alga, uno o due conchiglie per decorazione e les jeux sont faits.
La zattera creata dal terzetto diventa una metafora su quanto sia potente la semplicità: cosa di più efficace di una zattera di rami per dimostrare questa ben nota verità? Le zattere sono le imbarcazioni che creano i naufraghi per poter tornare a casa, sono un fragile baluardo contro la potenza di un mare che non sempre è clemente, che quasi mai salva le persone che incautamente ci cadono dentro. Eppure queste bateau de fortune nella loro elementarità riescono a salvare i naufraghi, nonostante il mare, nonostante le tempeste.
Anche la nostra piccola zattera di alghe, rametti e conchiglie, piccola e semplice come un haiku, riesce a salvare da un naufragio due bambini che non sanno più giocare.
Riesce a salpare verso un orizzonte lontano e silente con il suo fragile carico dell’ innocenza stellata di quell’infanzia che, in fin dei conti, rimane sempre un po’ dentro ognuno di noi.
E se ce ne dimentichiamo, ci sarà pur qualche Michao disposto a costruirci una zattera.
O no?