“La scuola degli idioti” di Marco Onofrio
Recensione di “La scuola degli idioti” di Marco Onofrio.
“O capitano, mio capitano” è la frase simbolo di un film di straordinaria bellezza, “L’attimo fuggente”; una frase che suona come il desiderio di un diverso modo di relazionarsi tra insegnanti e allievi, come un anelito della rottura di uno stantio approccio educativo che l’autore vede come causa, diretta e indiretta, di tutte le irresponsabili storture delle relazioni interumane basate sulla superficialità, sulla stupidità, sulle prepotenza e pre-supponenza degli individui, sulle prevaricazioni degli uni sugli altri.
La scuola degli idioti di Marco Onofrio è una raccolta di sette racconti dedicati al tema delle limitazione a cui sono sottoposte le potenzialità di ogni persona a causa della totale mancanza di immaginazione positiva e di creatività realizzante nell’insegnamento e, più in generale, nella scuola della vita.
L’autore racconta con immagini limpide e penetranti, chiare e partecipate, disperate e, nello stesso tempo, esaltanti l’esistenza che è figlia di una fisicità, spesso solo apparente, ma che è poi fondamentalmente intellettuale, e quindi psicologica, con tutte le implicazione legate alle impronte indelebili che i vari insegnamenti, a cominciare da quelli della madre, lasciano nel profondo dell’essere umano.
Insegnamenti che sono scontati, ripetitivi, banali, uguali nel tempo anche se il tempo cambia, tesi solo a mantenere le cose inalterate.
L’uomo è quindi una vittima della famiglia, della società e di tutte le altre gabbie che lo riducono ad un burattino, ad una marionetta senza fili addomesticata e resa doma al volere comune e tramandato.
L’educazione produce individui senza sogni, senza immaginazione, senza desideri e, quindi, senza nessuna spinta all’evoluzione, alla trasformazione, alla costruzione completa della propria personalità.
Convenzioni, ipocrisie, furbizie, pregiudizi, limitano totalmente non solo le potenzialità individuali, ma, in definitiva, anche quelle sociali, collettive.
Privando le nostre società di quelle accelerazioni evolutive, “rivoluzionarie”, finalizzate a uno sviluppo compatibile con la nostra stessa sopravvivenza, si rimane fermi, statici, immobili ad assorbire le ingiustizie e le avversità crescenti dell’attuale esistenza.
E allora nasce in alcuni, nei più illuminati, la reazione viscerale, la rabbia. Un’esplosione reattiva che, con le parole lanciate contro l’ingiustizia, contro la falsità di una tale concezione culturale, portano Onofrio a scagliarsi verso tutto quello che limita la propria realizzazione.
Nasce quindi la strana storia di un maiale morente ed incastrato nell’asfalto dal quale trapela tutta l’umanità dell’autore, nasce la trasformazione di una composizione poetica in un racconto nelle cui righe riecheggiano indiscutibili gli endecasillabi che rivelano tutta l’originalità di Marco Onofrio, la cretineria di alcuni autori che si cullano sulla cresta di un’onda di notorietà conquistata casualmente, la cruda e quasi schifosa analogia della scuola con le disgustanti merende consumate quotidianamente.
Il tutto raccontato senza nessuna ortodossia convenzionale, fuori dagli schemi dei componimenti scolastici, degli insegnamenti tradizionali, con parole e concetti espressi liberamente senza limitazioni, da vero artista, come asserisce l’autore stesso nella quarta di copertina.
Alla fine, però, trasuda ovunque ineluttabile una speranza, anzi una certezza nemmeno tanto velata e nascosta, quella che dietro le nuvole risplenda sempre il sole e che, come sempre accade ciclicamente, la primavera dei cambiamenti, delle novità, arriva comunque e riesce a spezzare tutte le catene di una visione del mondo paralizzante e superata.