“La cruna della notte” di Luciana Raggi
Recensione di “La cruna della notte” di Luciana Raggi (Ensemble, 2022). Articolo di Maurizio Mazzurco.
Con questa silloge giunge a un’ulteriore, capitale tappa il percorso di ricerca che Luciana Raggi ha intrapreso nella poesia, nella parola, nel mondo, dentro sé stessa, nell’esperienza umana e femminile in particolare. Ed è per me inevitabile citare diffusamente a questo punto il poeta e amico Bruno Bartoletti che, nel suo lineare e penetrante contributo critico sulla recente opera di Luciana Variazioni minime, osserva: “Sono più di dieci anni che accompagno Luciana nel suo viaggio poetico e in tutti i suoi libri troviamo alcuni punti fermi mai disattesi. In primo luogo, la sua sete di letture, che già nel 2010 in Sorsi di sole, la sua opera prima, presentava scrivendo: Nel desiderio forsennato / di placare la fame / ho ingurgitato libri su libri – consiglio o suggerimento per chi si incammina nel campo delicato e difficile della poesia. In secondo luogo, la certezza e consapevolezza dell’importanza che ha la poesia tradotta esplicitamente nell’exergo del suo secondo libro di poesie uscito nel 2015 – Oltremisura – le poesie sono doni / per chi sta all’erta – importante dichiarazione di Paul Celan all’amico Hans Bender: “non vedo nessuna differenza di principio tra una stretta di mano e una poesia”. In terzo luogo, la poesia come lavoro sulle parole, già messa al centro del suo primo libro nella sezione che andava sotto il nome di Parole, e che troverà poi una delle massime espressioni in S’è seduta, poemetto del 2017, ad indicare l’operazione e il tormento che stanno dietro la ricerca già ricordati da Yves Bonnefois: «La poesia è un lavoro sulle parole». Infine, la poesia come viaggio, viaggio verso sé stessi, nella profondità dell’animo, che ricorda la metafora indicata da Giorgio Caproni con la formula del «poeta minatore», o verso il mondo, in un itinerario sempre vivo di citazioni, di incontri.”
La cruna della notte viene edita da Ensemble, con in copertina la suggestiva foto di Mel Carrara e le preziose prefazioni di Claudio Fiorentini e Michela Zanarella. Il punto di partenza è nella battuta del King Lear da cui è tratto il titolo: “Voi non sapete perché siamo venuti a trovarvi, così fuori tempo, infilando la cieca cruna della notte”. Se in questo, come e più che in altri luoghi shakespeariani, vive con grande evidenza il paradosso per il quale nella pazzia, nella libertà del fool e poi nelle farneticazioni del vecchio re uscito di senno, si trova la massima saggezza, nelle pagine di questo libro se ne incarna un altro, analogo: nel buio della notte, nella sua cieca cruna che si infila a fatica, si possono avere lampi di una stravolta ma chiara veggenza. Luciana ci guida con i suoi ‘versi ispirati dalla notte e scritti in gran parte di notte’ fra conscio e subconscio, in un percorso solo apparentemente erratico, ma in realtà forte di una solida compattezza di concezione. L’impaginazione, l’accorgimento grafico dell’assenza di maiuscole e segni di interpunzione, le liriche strutturate in brevi frammenti, contribuiscono a conferire all’opera una veste formale perfettamente coerente con l’assunto interiore. La partizione in nove sezioni può costituire un aiuto al lettore, ma nulla aggiunge alla consistenza della struttura.
Dall’unitarietà dell’ispirazione deriva quella della forma. Chi ha seguito in questi anni l’itinerario poetico di Luciana, ne ritrova lo stile, il suo paziente lavoro di scavo sulle parole, che qui si fa se possibile ancora più profondo. Il risultato è, come di consueto, di una semplicità viva di emozioni e riflessioni, di una ricchissima trama di metafore, di una continua sequenza di illuminazioni.
Il cammino, dall’addentrarsi nella cieca cruna della notte insonne procedendo fino al suo trascolorare, è centellinato attimo per attimo in un racconto catartico di sensazioni cangianti, senza certezze e senza carezze (p. 19), fra assenze e presenze, luce e buio, attese e paure, ragione e desideri, dove ansie e memorie s’intrecciano (p. 105), cielo e terra si confondono e fanno pace al buio (p. 123), perline di ricordi saltellano libere / sperdute (p. 67). La notte è irrequieta nervosa e generosa di emozioni (p. 141), parole che si fanno pensiero / si muovono come stelle / in un disegno comune (p. 24), e un’analoga dialettica si genera fra concreto e astratto, fra il rumore d’acqua che circola nei termosifoni” (p. 40) e l’immaginare un ruscello di montagna, tra la finestra aperta sulla notte e lo spiare destini verticali (p. 32), senza arrendersi al silenzio dell’oblio, chiedendo il ritorno / di volti amati /sguardi desiderati (p. 108), nutrendo la presenza nell’assenza (p. 109), scrutando la massa celeste (p. 107).
Lunga è la notte da consumare (p. 105) da una camera con vista sul precipizio (p. 79). Se esiste un archetipo delle nostre notti insonni, in questa silloge lo possiamo riconoscere dalla prima all’ultima parola. Vi accade di scoprire ciò che non so di me (p. 99), o immaginare, fra gli imprevisti / di questo viaggio non prenotato, di uscire insieme / dalla prigione del tempo (p. 61), verso il grande vuoto finale / lontano quanto il cielo (p. 112), il sonno senza risveglio / intrappolata dalle attese (p. 113), mentre ombre lunghe / s’allontanano verso una meta illusoria (p. 50).
Negli ultimi frammenti si apre progressivamente una prospettiva di scioglimento, andando incontro al mattino (p. 91): arrivata alla sorgente / laverò occhi mani cuore / forse sentirò una voce (p. 144). Scopriamo così con ancora maggiore chiarezza quello che già avevamo intravisto, che la grande metafora del viaggio attraverso la notte ne può nascondere altre, ultima e maggiore quella del viaggio insonne, travagliato, solitario attraverso la vita, fino al momento in cui la notte trascolora (p. 148).
Non resta al lettore che accompagnare Luciana nel suo percorso insonne attraverso la cieca cruna della notte fino al suo trascolorare nella luce, e ritrovarsi; se non con una superiore consapevolezza, almeno con la maggiore ricchezza interiore che la poesia può dare, con le sue parole luminose che sfondano il buio (p. 147).