Jack lo squartatore è uscito dal gruppo?
Ci proviamo sempre a credere che Jack lo squartatore, il leggendario serial killer, esca dall’anonimato a cui è stato proscritto, nascosto da un nugolo di sedicenti medici sessualmente instabili (uno dei principali indiziati fu un medico che non era tale, ma avvocato), da personaggi eccentrici ed ebrei (non)folli.
Grande fu lo scalpore, perché per la prima volta si metteva nero su bianco a tutta una serie di circostanze, prove indiziarie, carteggi, riscontri tesi ad incastrare dopo oltre un secolo nientemeno che l’inafferrabile Jack lo Squartatore, che dal 1888 terrorizzò Londra (e non solo) girovagando nei bassifondi dell’East End. Il libro scatena tuttora importanti dibattiti, testi di controdeduzione e l’indagine si arricchisce di nuovi elementi.
Sarà invece tradotto probabilmente presto in Italia il nuovo libro di Russell Edwards (già un bestseller), il quale invece pregiudicherebbe la posizione del barbiere di origini polacche Aaroon Kosminski. Edward nel 2007 si aggiudicò all’asta uno scialle che si crede essere appartenuto a una delle vittime dell’assassino, Catherine Eddowes. Le analisi del DNA comparate con i discendenti dei principali sospettati, porterebbero dunque al barbiere. E’ una lotta, anche editoriale, senza esclusioni di colpi e di soldi. La Cornwell per esempio aveva acquistato in precedenza trenta quadri di Sickert, e non si tratta di ‘croste’, ma di opere di un certo valore.
Il dibattito mai sopito si infiamma nuovamente, quindi è d’obbligo ritornare sui passi del libro dell’americana.
Chi è dunque il famoso psicopatico? Secondo Patricia Cornwell, lo Squartatore fu il non troppo celebre pittore Walter Sickert, una delle icone dell’Inghilterra vittoriana. Un artista che cercò la sintesi tra la visione impressionista e quella più tipicamente germanica, con una predilezione per i soggetti popolari e le situazioni di degrado. Un approccio dove alla solarità francese faceva da sponda un certo spirito espressionista – se così si può dire – legato a una sensibilità teutonica. Del resto Sickert comunque proveniva da origini diverse: madre anglo-irlandese, padre tedesco-danese. L’artista però fu profondamente immerso nella mondanità londinese, tanto che nella seconda parte della sua vita venne considerato il più rappresentativo pittore del Regno Unito.
Partendo dalle circostanze, occorre dire che la Cornwell e i numerosi suoi collaboratori hanno fatto (e continuano a svolgere) un lavoro impressionante per mole e quantità di dati.
In tutte le occasioni in cui si assiste a un delitto dello spietato psicopatico, Sickert non avrebbe mai un vero alibi. Mai una volta che si possa dire che in quegli efferati omicidi fosse stato sicuramente esente dalla scena del delitto, magari perché in Francia o ammalato in ospedale o impegnato in un vernissage. Mai nulla che lo scagioni preventivamente. Naturalmente Sickert non fu un indiziato, anche se non mancò chi lo credette colpevole.
Il DNA mitocondriale conduce gravi sospetti sul pittore, cioè facendo il confronto con la saliva dei francobolli, tracce sui quadri (almeno uno di questi) e le lettere di Jack Lo Squartatore, scopriamo che c’è una piccola sequenza che è uguale in ogni campione. E’ come se in un libro di mille pagine ce ne fossero tre assolutamente identiche a un altro testo. Solo che la letteratura, in questo specifico caso, è molto più impietosa nel definire la proprietà intellettuale, mentre con ‘tre pagine’ di DNA si può solo dire che al 90% sia la stessa persona. Per avere l’assoluta certezza servirebbe qualche ‘paginetta’ in più delle migliaia e migliaia di pagine del DNA umano.
Ora, sappiamo che Jack lo Squartatore amava molto scrivere e anche lo stesso Sickert coltivava una fissazione per i quotidiani. Mandava in continuazione lettere ai vari newspaper della capitale, interveniva in ogni diatriba con articoli, chiose, opinioni. Sickert era un grafomane. Lo stile delle lettere di Jack lo Squartatore converge in determinati stilemi con il linguaggio di Sickert, e anche gli errori sembrano essere voluti per cercare di depistare. Lo Squartatore cita talvolta fatti e circostanze che non sono riconducibili a una persona che abbia un basso livello di cultura, ma sembrano più attinenti al ceto sociale di Sickert, come del tutto affettata sembra la caduta in banali errori di grammatica e ortografia, così la filigrana, la tipologia e la marca dei fogli usati sono spesso quelle adoperate pure dall’artista. Dettaglio non secondario, perché in quel periodo procurarsi o utilizzare certi tipi di carta non era alla portata di tutti.
Tra i tanti elementi di convergenza c’è una filastrocca tipica in Cornovaglia, quasi sconosciuta a Londra, mentre Jack Lo Squartatore la cita, e Sickert conosceva molto bene quella regione.
Sappiamo inoltre che determinate macchie sulle lettere non sono di sangue, ma di pittura, tipica dei colori del nostro sospettato.
Il libro però non si limita a questi elementi, offrendo molti altri indizi. In effetti non c’è veramente nulla che allontani Sickert dai sospetti. Come pittore non disdegnava scene violente ed egli stesso dipinse varie tele ispirate a delitti, compresi quelli di Jack lo Squartatore. Le sue donne spesso volgono lo sguardo in altra direzione, sono distanti dal rapporto con l’uomo, non incrociano gli occhi di chi hanno vicino, non si relazionano con l’osservatore. In molti casi il collo di queste è reciso da una sottile linea (in alcune tele anche diverse parti anatomiche) e Sickert nella sua carriera ha spesso dipinto particolari anatomici amorfi, privi di dinamicità. Sappiamo inoltre che lo Squartatore colpiva da dietro le sue vittime. In altre opere emerge lo sguardo interrogativo dei soggetti femminili, artisticamente interessante, dove però appunto non si avverte alcuna specifica relazione empatica. Si tratta di figure nude o parzialmente scoperte, la cui interazione con gli altri soggetti è appunto labile.
L’artista vittoriano coltivava quasi una vera e propria crudeltà espressiva nel dipingere la violenza, i bassifondi, la bruttezza o la decadenza. Ora, non fu un mediocre come pittore, la sua arte è sintesi evolutiva tra tendenze del periodo. I quadri trasmettono il segreto che ogni vera opera d’arte porta: un modo di vedere la vita, l’attribuzione di una sfumatura diversa all’esistente, che poi ri-conosciamo in noi stessi. A lui si ispirarono Lucian Freud e Francis Bacon. Frequentò molti grandi della sua epoca: Oscar Wilde, Edgar Degas, Cammille Pissarro e il pittore James Abbott Mc Neill Whistler, di cui fu allievo.
Proprio questa sembra essere una delle cause scatenanti della sua psicopatia. Whistler convolò a nozze con la bellissima Ellen Terry, una delle attrici più popolari e ammirate. Il loro fu amore vero. Fino a non molti anni prima Sickert pedinava persino l’attrice e il suo compagno di recitazione Henry Irving. Adesso il suo amore-odio per Whistler era corroborato da questo nuovo evento, e Sickert, uomo piacente, non poteva avere una vera vita sessuale, a causa di un grave errore durante il parto di sua madre dovuto probabilmente al forcipe. I tre erano le sue ossessioni, oltretutto Irving fu un suo modello artistico, amando recitare ed avendo tentato senza fortuna la carriera di attore. Adesso anche Whistler spiegava le ali verso una vita coronata dall’amore, lui che inoltre era considerato – e con plausibili ragioni vedendo i suoi quadri, aggiungo io – un artista ancora più talentuoso e importante di Walter Sickert. Patricia Cornwell però ipotizza un’altra circostanza detonante, nientemeno che un complotto ordito dalla famiglia reale, originato da una certa storia secondo la quale il principe Albert Victor, nipote di Vittoria e figlio del futuro Edoardo VII, aveva avuto un’erede illegittima da una commessa di Whitechapel. Occorreva quindi liquidare le persone che ne erano a conoscenza attraverso un movente non riconducibile. William Gull, medico personale di Vittoria e anche della famiglia Sickert, sarebbe stato il complice del pittore nel compiere gli omicidi.
L’artista coltivava una sottile ma penetrante misoginia, dovuta pure al fatto che a quel tempo si vedeva la libertà sessuale come a una malattia trasmissibile, almeno secondo i canoni della società vittoriana, e i trascorsi familiari del pittore non ne erano indenni. Le prostitute erano considerate delle malate colpevoli, in cui il Peccato si riverberava in loro e nei loro eventuali discendenti. Sappiamo che Sickert fece propria questa visione. Ciò non gli impedì di sposarsi due volte, senza avere figli.
Cosa manca alla ricerca della Cornwell? Innanzitutto non possiamo fare i riscontri con la salma, perché l’artista, deceduto nel 1942, si fece cremare. Non possiamo riesumare o fare test sui discendenti perché appunto non ne ebbe. Non possiamo analizzare il DNA dei parenti stretti (madre, sorella) perché non attendibile ai fini della ricerca in questione.
Le lettere probabilmente contribuiscono al quadro indiziario, ma allo stato attuale provano, non del tutto, che una parte di queste siano state scritte da lui. Londra pullulava di mitomani di tutti i ceti, presi dalla febbre di Jack, the ripper. Esistono moltissime missive false di Jack lo Squartatore.
La polizia, Scotland Yard, fece alcune indagini degne anticipatrici delle slapstick comedy di Buster Keaton. Se però sapessimo con certezza che Sickert in una di quelle lettere abbia rivelato particolari effettivi, ma NON noti alla stampa, l’ipotesi della colpevolezza ne guadagnerebbe. Questa prova però non l’abbiamo.
L’autrice e i suoi eccellenti collaboratori, attraverso una ricerca davvero encomiabile, sono riusciti a dimostrare certamente determinate circostanze, che alcuni storici hanno criticato, forse perché la figura di Sickert ha una sua importanza, divenendo egli persino presidente della Società degli Artisti e membro della Reale Accademia.
Con le prove della scrittrice il nostro pittore sarebbe libero per la legge, ma forse colpevole nel cuore della gente? Difficile dirlo.
In quel periodo naturalmente non esistevano le perizie che si possono fare adesso e tanti elementi di indagine sono irrimediabilmente compromessi. Un serial killer grafomane come lui si tradirebbe facilmente, a meno che non prendesse qualche altra accortezza. Gli ‘squartatori’ di oggi si sono adeguati ai tempi, conoscono i pericoli a cui vanno incontro, e vi giocano eccitandosi.
Il libro della Cornwell però può essere letto anche come un saggio di criminologia, dato che affronta alcuni temi di carattere generale. Cos’è uno psicopatico? Il considerare la psicopatia come una malattia, un disturbo mentale – cosa che comunque è – si rivela essere una clamorosa attenuante per un serial killer? Sappiamo per esempio che negli psicopatici l’attività dei lobi frontali è più bassa, ma – la Cornwell non lo dice – se prendiamo un campione di persone a caso e misuriamo l’attività dei lobi, scopriamo che non c’è nessuna causa ed effetto riconducibile a devianze, magari si tratta di persone normalissime o addirittura dedite a cause filantropiche. Se invece fra tutti gli psicopatici andiamo a fare dei test, scopriamo invece che l’attività dei lobi frontali è mediamente bassa, e risultano oscurati quindi le attività legate a questi centri, ovvero il senso della morale, del dispiacere, della solidarietà, di alcune sane inibizioni, la capacità dell’empatia profonda, ecc. Attenzione! Non si tratta di riesumare odiose teorie lombrosiane, ma semplicemente di far propria la logica considerazione che deriva dal fatto di sapere che ogni ogni malattia ha una predisposizione di carattere genetico. Se quindi la psicopatia è un disturbo mentale deve avere una corrispondenza nei geni. Sappiamo pure che la nostra attività celebrale è stimolata da tutto ciò che siamo, da quello che ci capita, dal nostro carattere, da tantissime variabili. Un intreccio articolato e meraviglioso insieme. Il nostro DNA è biodinamico nel senso più ampio del termine, sensibile alle vibrazioni, muta come cambia la nostra visione dell’esistenza e dipende anche da quella dei nostri genitori, da chi ci sta vicino. Il nostro comportamento e ciò che avvertiamo intimamente sono tessuti con la nostra biologia in modo imponderabile, per cui non si può affermare che un individuo con un certo tipo di attività cerebrale sia predisposto o meno a commettere determinati crimini, però negli assassini seriali esistono alcuni fattori comuni, è indubbio.
Ma in definitiva che colpa ha un serial killer di ciò che è? Se ubbidisce a un istinto irrefrenabile, come nel caso degli psicopatici.
Nessuna. E infatti la Legge è qualcosa di umile. Colpisce reati e non persone, quindi attraverso i crimini le persone sono perseguibili. La Cornwell non entra molto in merito ai reati di pedofilia, ma noi sappiamo per esempio che una grande percentuale di pedofili ha subito abusi nell’infanzia. Non abbiamo la risposta per molte ingiustizie, ma afferriamo la consapevolezza che un pedofilo commette qualcosa di molto grave. Va fermato prima che faccia danni serissimi, e se commette reato va punito in modo esemplare. Due fratelli gemelli sono oggetto di abusi: uno diventa un perfetto padre di famiglia e si adopera per le vittime di violenze, l’altro invece si trasforma in un pedofilo. Uno fa ‘din’, l’altro fa ‘don’. L’esistenza qualche volta ci offre pesi che appaiono insostenibili, ma ogni sofferenza contiene già in sé la soluzione, purché si comprenda che una brutta ferita si può trasformare in una straordinaria opportunità. E allora la vita diventa particolarmente generosa.
E’ anche falso che in una comunità perfetta il crimine non esista. Tendenzialmente una società sana tende a controllare le devianze e a produrne di meno, ma sappiamo anche – Ballard docet – che questa visione favolistica non elimina il crimine: gli essere umani ubbidiscono a impulsi complessi, e a volte possono essere tanto più esplosivi quanto le civiltà siano progredite. Bene e male si mescolano inevitabilmente nell’essere umano ed entrambi trovano la via per esprimersi.
Nell’epoca vittoriana il doppio si inserisce come elemento centrale. E’ il periodo de Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hide, successo letterario di Stevenson, rappresentato con enorme successo di pubblico anche a teatro. L’epoca di uno struggente romanticismo, della bohème, di atmosfere intriganti, di sguardi che penetrano l’anima e i sensi, di ricami e tendine rosse, di giarrettiere e caviglie femminili nude che fanno girare la testa agli uomini, di comignoli e gatti sui tetti. E’ soprattutto l’epoca di grandi cambiamenti del tessuto socio-economico, con l’industria che popola sempre di più i sobborghi delle grandi città inglesi. Miseria e nobiltà, sviluppo e degrado, visione del futuro e arcaici retaggi si mescolano in modo particolarmente forte, determinando quel calderone dove nascerà la società inglese del ‘900.
E’ un periodo in cui, complice la diffusione della stampa, trovano eco grandi opere letterarie e dell’ingegno umano, ma anche pregiudizi. Ancora oggi nonostante tutto si ha di Oscar Wilde l’idea di un dandy di talento, dedito all’ozio e al vizio moderato. I carteggi che la Cornwell ha riportato in vita, date le frequentazioni altolocate di Sickert, hanno fatto emergere pure tanti particolari su Wilde, che dimostrano sostanzialmente quello che i più informati già conoscevano: Oscar Wilde fu un perfetto gentleman, molto attento ai doveri sociali ed estremamente partecipativo in questo senso, in parole e azioni. Tutto ciò che si legge di Wilde va fruito in una stretta pertinenza, che è quella del suo profondo odio per l’ipocrisia.
E’ l’epoca del doppio, dunque, delle differenze complementari.
Joseph Merrick, meglio noto come The Elephant Man, era un uomo incredibilmente deforme, impossibilitato a qualsiasi espressione umana. Aveva una testa di un metro di diametro, carni pendenti, croste. Un essere umano che non poteva dormire in posizione orizzontale. Vessato, preso in giro, utilizzato come fenomeno da baraccone, disprezzato, umiliato, temuto come mostro, che finì gli ultimi anni della sua vita in una stanza di ospedale, visitato poi dalla regina e da tutto lo stuolo dei nobili. Un dovere vittoriano! Eppure quest’uomo era un individuo sensibilissimo, dotato di una grande delicatezza d’animo, non coltivò mai nessun rancore, nessun odio. Leggeva e scriveva anche lui alacremente. Il suo sogno era quello di finire in un istituto per ciechi – disse una volta ingenuamente – perché magari non vedendolo una donna si sarebbe potuta innamorare di lui.
Probabilmente durante la sua carriera di fenomeno di baraccone, nei fantasmagorici circhi dell’800, Walter Sickert avrà speso un penny per vederlo, E si sa, non tutte le monete suonano allo stesso modo, una fa ‘din’, l’altra fa ‘don’.
Si è fatta strada anche un’altra ipotesi, già proposta tempo fa, che è destinata a riprendere vigore: e se ci fossero stati due o tre Jack lo Squartatore? E se quindi una parte delle lettere eterogenee fossero riconducibili a diversi killer, magari presi da una febbre di emulazione? Ci sono stati molti orripilanti delitti successivamente al 1888, senza ipotesi di attribuzione o la cui pista che porta a lo Squartatore è stata considerata un depistaggio.
E c’è anche chi parla di una Jess la Squartatrice…
Ma in mezzo a tutti i romanzi, i saggi, i film e i dibattiti sul tema sembra quasi di sentire nelle nebbie londinesi una risata sardonica, che si eleva da una figura impenetrabile, di cui riconosciamo uno scuro pastrano e una tuba inclinata sulla fronte. Non appena ci avviciniamo timorosi questa scompare…
Complimenti per l’articolo oltre che per la tematica trattata, argomento che mi affascina da tempo immemore.
Davvero ben strutturato e incisivo, denota anche la ricerca svolta sul tema.
Adoro i libri di Patricia Cornwell e “Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hide”, è stato il romanzo di Stevenson che ho imparato a conoscere al liceo e che tuttora rileggo spesso.
Grazie dell’apprezzamento! I libri di Patricia Cornwell sono molto belli, quasi tutti a mio avviso. Stevenson è un grandissimo. Su PL ho scritto anche su una sua raccolta. Curiosamente uno dei traduttori degli ultimi scritti a noi pervenuti fu il nostro Corrado Alvaro.
Patricia Cornwell inoltre sarà stata una delle prime lettrici del recentissimo libro di Russell Edwards, che inchioda invece il barbiere Aaroon Kosminki. A mia avviso lei si è legata troppo della tesi ‘Sickert’. Ha marcato così ‘ferocemente’ il pittore, che chiaramente non può che subire un piccolo ‘trauma’ dalla prova che uno scialle appartenuto a una vittima abbia tracce del DNA di Kosminski. Sarà interessante un confronto o una replica della scrittrice, ma ancora dobbiamo leggere bene il libro di Edwards, capire se ha avuto lo stesso rigore della Cornwell. Certo, il dna sulla lettera è un conto, quello sullo scialle risulta – almeno teoricamente – molto più incisivo. E c’è anche la tesi di più killer, che ‘democraticamente’ metterebbe d’accordo autori ed editori 🙂 Sollecitato da altri commenti ci tengo a fare alcune precisazioni sul valore della cosiddetta attenuante. L’attenuante normalmente si riferisce a bisogni, esigenze, aspettative condivise nella collettività. Un genitore che ruba per sfamare i figli gode naturalmente di forti attenuanti, altrimenti la Legge sarebbe forte sì, ma sterile, ‘disumana’, così anche in casi diversi – a volte gravi – come una reazione d’impulso, una particolare situazione socio-economica che pregiudica la conduzione di un’esistenza dignitosa. Pur sapendo che la psicopatia è una malattia, però non possiamo riconoscere attenuanti. La Legge – e la criminologia – pongono una sorta di senso comune al valore dell’attenuante. Sotto un profilo filosofico non c’è dubbio che ognuno non possa essere altri che se stesso. Da questo punto di vista il Diritto non può giudicare perché non è al di sopra degli uomini ma tra essi.
Cosa aggiungere a corollario, due film! ‘The Elephant Man’ di David Lynch (per chi non lo avesse visto) e il più recente ‘La vera storia di Jack lo Squartatore’ con Johnny Depp, un film che tiene desta l’attenzione e saturo di atmosfere secondo me decisamente coinvolgenti.