Inediti di Antonio Pibiri
Alcuni inediti di Antonio Pibiri, curati da Davide Zizza.
La poesia non va spiegata, dicono. Aggiungo: la poesia non deve spiegare, deve far vivere o rivivere, far ricordare, perché caratteristica sua propria è l’evocazione. Pertanto avvicinarsi alla poesia con l’assillo di spiegarla o perché lei debba per forza spiegarci qualcosa significa un po’ demolirne l’incanto. Facciamo nostro l’insegnamento di Oscar Wilde: della rosa apprezziamo il profumo senza limitarci troppo alla radice! Oppure aiutandoci con Borges: sentiamo la bellezza di una poesia prima ancora di pensare al suo significato.
La poetica – la radice di questa rosa – possiamo invece rintracciarla come su un portolano, delinearla o almeno abbozzarla come un fregio o un segno tangibile del respiro del poeta. E da un fregio vorrei partire per dare un cenno sulla scrittura di Antonio Pibiri, poeta di Sassari, giunto alla sua terza raccolta a breve disponibile presso Lampi di Stampa. Alcuni di questi inediti sono tratti dalle sezioni Cinque piccoli ritratti e Hommage à. Sono pitture attraversate dalle orme della musica. Ancor più, la sostanza musicale dei versi plasma forme e direzioni. Tale sostanza riflette un’esigenza del poeta non meramente stilistica, ma di una volontà di ascolto della parola dalla quale far scaturire una serie di sinestesie suono-colore a favore, per l’appunto, del senso evocativo. Non a caso la ricerca estetico-letteraria di Antonio Pibiri affonda le mani nella musicologia (Henze, Maderna e Xenakis per citarne alcuni), nell’arte e nella letteratura (per es. Giacometti, Artaud). È poesia matura, raffinata, la cui metafora coniuga un sapore insieme crudo e dolce. Possiamo avvertirne l’effetto nel leggere il ritratto dedicato a Olivier Messiaen laddove due immagini dissonanti fra loro, ovvero il lavatoio dello stalag – proprio nello stalag VIII-A lo stesso compositore francese finì la sua Quatuor pour la fine du temps, «gli spremuti suoni sulla tavolozza» – e la voliera (l’ispirazione) formano un simbolo per richiamarsi all’idea alla libertà. Persino dai luoghi più angusti e orrendi quali i campi di internamento risale quel bagliore creativo capace di salvare l’essere umano, la speranza viene quindi riposta nel volo della musica, corrispondente con il volo della rondine nei versi successivi. Pure su un conflitto altrettanto allusivo e pungente si fonda Il sogno di Kien, omaggio all’omonimo personaggio di Elias Canetti del celebre romanzo Auto da fé. Il dissidio interiore di Kien nasconde il desiderio di «essere liberato» dal suo sé, dal suo maniacale isolamento, da una condizione di essere, desiderio che il personaggio quasi tace a sé stesso («in segreto chiedeva»). Ed ecco il sogno! Se Messiaen ottiene la libertà attraverso la musica, Kien vorrebbe ottenere la sua tramite i libri della sua biblioteca, la sua cultura, il suo intelletto, ma ignora «l’osceno odore dell’origine», il non-luogo, uno scenario pulsante di percezioni e di vita primordiale, insomma il richiamo atavico da lui, volutamente o meno, inascoltato.
Da questi esempi comprendiamo che la poetica di Antonio Pibiri procede da un lato in un gioco palpabile, per quanto sottile, di assonanze e contrasti con lo scopo di riunirli sotto un’immagine coerente e armonica, da concerto, richiamando dall’altro un panorama di sfumature, simili a quelle di una tela dove il lettore può rapportare, corrispondere il telaio delle proprie visioni. Leggendo i suoi inediti mi è ritornata alla memoria la poesia di Franco Marcoaldi presente nella raccolta Amore non amore (Bompiani): «sarebbe meglio | provare a dare conto | con un semplice cenno: un baffo | un frego un graffio un segno. | Prefigurarlo, insomma. Poi libero | ciascuno di dipingere la tela | per come meglio crede». La prefigurazione qui si fa vettore utile al poeta sassarese per comunicare una verità senza cristallizzarla, lasciando dischiusa la porta della parola, luogo di accesso della nostra mente al significato di una vita interiore. È indubbiamente una delle prove più importanti di cui il poeta Pibiri ci consegna degli esiti notevoli.
I
agli “infiniti possibili” di Luigi Nono
La voce petulante del tamburello
scomposto in dettaglio.
Certi rintocchi chiusi,
i registri scalati del vento.
Tua attenzione è fuoco che lo tende –
C’è un silenzio fuori, tiene sveglia la notte –
Cesello, e finissimi bulini di Rembrandt
incerti su quale filo di trama, fuga
verso ogni
onnipossibile
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IV
Xenakis
mio sonno perseguito dal reale:
entra una giovane (sei tu? Cassandra…)
con voce maschile, arcaica e potente,
agita le assi di legno su cui giaccio,
scoscende le falangi nel pericolo
tra varchi di carici, canneti
a specchio sul lago, fino a
infilare il viottolo dentro il tìaso,
fuochi erbacce e flauti, i cembali
sfrenati di Dioniso
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V
ricordando Olivier Messiaen
In punto di vita ecco ricordo
che nel lavatoio di uno stalag
si aprì una voliera:
spremuti suoni sulla tavolozza
degli allineamenti
– erba sassifraga e pioniera –
Ma anche un ragazzo
che salva la rondine raccolta
dalle grinfie di un gatto;
la lancia per aria, riprende il volo
e per quel poco o tanto si esalta.
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Il sogno di Kien
Una parola riempita di nuovo
da colui che l’ha svuotata
E. Canetti
Il sinologo in segreto chiedeva
solo d’essere liberato: dallo spolvero,
le mura scaffalate, spertichi e costole
della sua biblioteca, risorgere
in cima al fuoco.
Aveva tenuto fuori, ignorando:
le ferite d’ascia, foreste, l gelso
e la sua corteccia, gli impasti umidi,
la malattia delle piante, poltiglie,
il ritrarsi riflesso dai pruni,
tutto l’osceno odore dell’origine
o oggetti
o poesia
non altro
A. Giacometti
resistenza è anche stare nella luce
della stanza che infebbra la parete.
frugalità di poco spazio, la candela
nella morte che non può attraversare.
e il frutto più che reale, tratto dalla tela…
rimane nello specchio della mano.
Antonio Pibiri nasce a Sassari nel 1968, risiede ad Alghero. Dopo la maturità sviluppa attenzione verso la scrittura creativa e la musica del 900, l’interesse per la prosa attraverso racconti brevi, formandosi da autodidatta. Nel 2004 presenta il suoi inediti di poesia insieme all’attrice teatrale Fiammetta Mura, e in altre occasioni. Nel 2007 pubblica presso l’editore Magnum di Sassari la prima silloge, e nel 2010 “Il mondo che rimane”, nella collana di poesia di Valentino Ronchi, Lampi di stampa, Milano, che gli varrà il premio speciale della critica al Premio Letterario Internazionale di Sassari, 2011, e nello stesso anno la “Menzione d’onore” al premio “Lorenzo Montano”.