«Incontri con Franco Loi» di Willem van Toorn
Willem van Toorn in questo articolo ricorda il grande poeta Franco Loi, recentemente scomparso.
Traduzione dal nederlandese di Patrizia Filia.
Conobbi Franco Loi a Faenza, all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso. Con un gruppo di poeti olandesi e fiamminghi eravamo stati invitati a Bologna, dove Charles van Leeuwen, che insegnava il nederlandese all’Università, aveva introdotto noi e il nostro lavoro agli studenti e al pubblico. Se ben ricordo, gli altri poeti olandesi erano arrivati in treno. Io avevo viaggiato in macchina con mia moglie, la poetessa Ineke Holzhaus.
Nel programma era inserito anche un nostro intervento al Festival di poesia di Faenza. Quello di Rotterdam, il Poetry International, aveva dato un contributo importante a questo festival e noi eravamo parte di quel contributo. Fu così che Ineke ed io ci ritrovammo nella città della famosa maiolica. Una volta sistemati i bagagli nella nostra camera d’albergo andammo nell’atrio per incontrare gli altri poeti presenti al festival. Un uomo magro, naso affilato e occhi vivaci pressoché neri, si avvicinò e mi abbracciò calorosamente dicendo forte, in italiano: “Maestro.” Picchiettò sulla cartellina che aveva con sé e che conteneva le mie poesie tradotte da Karin van Ingen Schenau.
Tutti quegli omaggi mi imbarazzarono un poco, ma questo non infastidì affatto Franco. Gli organizzatori ci avevano accoppiati come rappresentanti della generazione più anziana, cosa che ci permise di trascorrere momenti intensi durante quelle affascinanti giornate.
Conoscevo il suo nome, non il suo lavoro, ma colmai in fretta la lacuna. Una delle qualità travolgenti di Franco era che gli piaceva tanto leggere ad alta voce le sue poesie: a colazione sorbendo il caffè, su una panchina al sole, durante la pausa tra una presentazione e l’altra. Con la sua voce penetrante e un po’ rauca mi insegnava il suo dialetto cadenzato, che cercavo di capire leggendo la traduzione italiana posta gentilmente da Einaudi in fondo alla pagina.
Sèm poca roba, Diu, sèm squasi nient
Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente
L’italiano lo sapevo già leggere, ma parlarlo meno e neanche tanto lo capivo, soprattutto quelle frasi di Franco dal tono sempre un po’ interrogativo. A Franco non disturbava che qualcuno non parlasse la sua lingua, anche perché lui stesso non conosceva altre lingue che la sua, e quindi si rivolgeva a tutti in italiano come se fosse una specie di esperanto comprensibile da ciascuno. Anni dopo, al Poetry International, lo vidi parlare animatamente per almeno dieci minuti con un giovane poeta cinese, che a sua volta parlava solo cinese. Si fecero una bella risata.
Una fonte di sostegno durante tutti quegli incontri nella zona di confine tra due lingue, fu una studentessa di Charles van Leeuwen, Sabrina Corbellini, che sarebbe poi venuta nei Paesi Bassi a studiare all’Università di Leida dove si sarebbe laureata, e con la quale avrei poi tradotto alcune poesie di Franco.
L’incontro a Faenza fu l’inizio di una lunga serie di incontri e di trent’anni di intensa amicizia, che coinvolse anche Ineke e la moglie di Franco, Silvana Corti.
Franco era un maestro nell’esprimere in modo spassionato sentimenti di amicizia e d’affetto. Non molto tempo dopo il nostro soggiorno a Faenza, ricevetti una sua lettera in cui esprimeva ancora una volta il suo apprezzamento per la mia poetica e mi informava di essersi messo d’accordo con Giacinto Spagnoletti della Fondazione Piazzolla a Roma per far pubblicare una selezione delle mie poesie nella collana Poesia Europea Vivente. Mi diceva che ci saremmo occupati insieme, lui ed io, della selezione e della traduzione basandoci, se necessario, sulla quella di Karin van Ingen Schenau.
Andai quindi a Milano da Franco e Silvana per lavorare insieme indisturbati al florilegio, che alla fine avrebbe raggiunto, bilingue, una dimensione di quasi duecento pagine. Quei giorni a Milano rappresentarono il corso di italiano più intenso che si possa immaginare. Con Ineke, che già parlava la lingua discretamente, frequentavo i corsi dell’Istituto Italiano di Cultura ad Amsterdam, ma le lezioni di Silvana, nell’accogliente appartamento in Viale Misurata, erano di tutt’altra levatura.
Dopo colazione Franco e io ci ritiravamo nel suo studio, dove gli leggevo ad alta voce in nederlandese la poesia su cui stavamo lavorando. Era un’esperienza molto particolare. Franco ascoltava ad occhi chiusi, mi chiedeva di ripetere un verso quando trovava stimolante una parola e, come se stesse seguendo una partitura, muoveva la testa o una mano a ritmo di quella mia lingua. Quando poi gli traducevo in italiano parole o frasi – aiutato dalla traduzione di Karin e dai miei dizionari – pareva che tentasse di inserire la lingua in una struttura sonora custodita nella sua mente.
Se non riuscivo a farmi capire potevo contare sull’aiuto di Silvana, insegnante d’inglese, il che ci dava la possibilità di andarci a fumare una sigaretta sul balcone (a quei tempi ero ancora un accanito fumatore) che si affacciava sul viale percorso da macchine, motorini, tram e voci.
Il florilegio Gioco di simulazione, composto di oltre novanta poesie e pubblicato bilingue nel 1994, risuonava ancora del mio nederlandese e dell’incantevole voce di Franco. Nel corso degli anni, il libro mi offrì la possibilità di leggere ad alta voce le mie poesie in giro per l’Italia, sovente in compagnia di Franco. A Pescocostanzo in Abruzzo, dove andammo a vedere i lupi nel Parco Nazionale, udii Franco mormorare tenero attraverso la rete metallica: “povera bestia”, rivolto ad un lupo solitario; sulla meravigliosa isola del Lago d’Orta, dove seduti con un gruppo di studenti su un muretto vicino all’acqua, consumammo un consistente pezzo di pecorino stagionato, che avevo appena comprato con l’intento di portamelo nei Paesi Bassi; in Sardegna, dove divenne cittadino onorario del paese di Seneghe e dove sulla piazza, in occasione del festival Cabudanne de sos poetas, leggemmo in una tarda serata d’estate rivolti al nostro auditorio. Posti occupati fino all’ultima sedia, volti attenti alla luce dei lampioni, pipistrelli che svolazzavano tra le luci dei riflettori.
Sono pochi i poeti il cui lavoro mi è così vicino come lo è quello di Franco – la sua capacità di esprimere l’ordinario, il cielo, la luce sulla città, il respiro, gli specchi, gli abiti dei passanti, il “verde di quei camion”, “la gente sotto la pioggia”, “la luce trasversale dei tram” rende magico il suo linguaggio, tangibilmente vicino.
Franco trovò anche nei Paesi Bassi un pubblico attento e amorevole. Al Poetry International di Rotterdam (dove parlò con quel poeta cinese), a Maastricht, ad Amsterdam. Tradussi, prima con Sabrina Corbellini e poi da solo, una raccolta di sue poesie che uscì presso la casa editrice Querido (Hemel zonder gezicht = Ciel senza faccia) e che in breve tempo richiese una nuova ristampata. Poi fu la volta della casa editrice Azul Press a pubblicare una sua nuova raccolta (Engel van lucht = Angelo d’aria), presentata ad Amsterdam nella Libreria Bonardi.
Franco era innamorato di Amsterdam. L’ultima volta che lui e Silvana ci vennero, in occasione della pubblicazione della seconda raccolta, Ineke ed io avevamo trovato per loro un albergo nel quartiere Plantage, ma Silvana aveva preferito un albergo sul Rokin, vicino allo Spui, perché voleva stare nel cuore della città vecchia. Al loro arrivo, li raggiungemmo un po’ preoccupati in quell’albergo, che si mostrò essere una specie di ostello. Se ne stavano lì tra giovani viaggiatori allegri e chiassosi provenienti da ogni angolo del pianeta, zaini ammassati nell’atrio e nei corridoi. Ma Franco e Silvana non ne vollero sapere di trasferirsi nell’albergo da noi proposto. Stavano bene lì dov’erano, con intorno tutta quella gioventù e vicini al centro medioevale della città. Sfrecciando insieme per le strade, in mezzo a quella moltitudine di giovani, Franco sorrideva.
Qualche giorno dopo mi raccontò cosa lo affascinava di Amsterdam (a parte le finestre illuminate prive di tende delle case lungo i canali), così tanto da poterla percorrere per ore. Disse che stando sul marciapiede in attesa di attraversare, lo colpivano quelle energiche donne e ragazze di Amsterdam in bicicletta, “ti guardano tutte disinibite e ti sorridono sempre”. Non dissi che poteva essere a causa del suo sorriso. Del suo modo di guardare, meravigliato di tutto.
Willem van Toorn e Franco Loi a Seneghe, in Sardegna. 2010. Foto Ineke Holzhaus ©.
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Willem van Toorn è nato nel 1935 ad Amsterdam, dove da bambino ha vissuto gli anni dell’occupazione tedesca, un’esperienza che ritornerà nelle sue opere, per esempio nel ciclo poetico Het stuwmeer (2009), pubblicato in italiano nel 2013 dalla Di Felice Edizioni sotto il titolo Il lago artificiale e nel ciclo poetico De jongenskamer (2018), pubblicato nel 2020, sempre da Di Felice, sotto il titolo La camera dei ragazzi.
Van Toorn ha studiato Letteratura Nederlandese ed è stato insegnante presso scuole elementari e medie. Dal 1989 al 1992 è stato docente presso il Dipartimento di Studi Culturali dell’Università di Amsterdam. Ha pubblicato un gran numero di romanzi, racconti e raccolte di poesia. Il suo romanzo Een leeg landschap (1988) è stato nominato per il premio letterario AKO e il romanzo Het verhaal van een middag (1994) per il premio letterario Libris. Nel 2010 ha ricevuto il prestigioso premio Groeneveld del Ministero dell’Agricoltura per il suo contributo unico e critico al dibattito sullo spazio verde. Nel 2011 esce Het grote landschapsboek, in cui Van Toorn riporta con entusiasmo la storia del paesaggio e il modo in cui ci confrontiamo con esso. Per la sua poesia ha ricevuto i premi Jan Campert, Herman Gorter e A. Roland Holst. Ha realizzato traduzioni poetiche delle opere di W.S. Graham, Franco Loi, Cesare Pavese e Paolo Ruffilli. Ha tradotto inoltre dal tedesco le prose di Klaus Mann, Franz Kafka e Stefan Zweig, e dall’inglese quelle di Aldous Huxley, Christopher Isherwood, John Updike ed E.L. Doctorow. Il suo romanzo De rivier e il libro per ragazziRooie sono stati tradotti in tedesco. Nel 1994 esce in Italia per Fondazione Piazzolla la raccolta di poesia Gioco di simulazione e nel 2001, per Edizioni del Leone, la raccolta Paesaggi. Nel 2020 Willem van Toorn e Ineke Holzhaus vengono premiati in Abruzzo con il Premio per la Poesia Martinsicuro. Nel 2021 esce per Di Felice la sua raccolta I giorni. Van Toorn risiede con la moglie Ineke, in un paese del Berry, in Francia.