“Il viaggio a Paros” di Mario Fortunato
Recensione di “Il viaggio a Paros” (Bompiani, 2013) di Mario Fortunato.
Il viaggio a Paros di Mario Fortunato (Bompiani, 2013) è un romanzo breve che racconta l’intreccio particolare e tragico che lega le vite di tre ragazzi, “un orfano scapestrato, un introverso con la mania dei computer e una figlia unica, eccentrica e anticonformista.” Si tratta di Mau, Dav e Mo, tre nomignoli per tre giovani anime in pena. Nomi minimalisti per i personaggi che a volte si esaltano e altre volte soccombono in un racconto scritto in una lingua volutamente semplice ed essenziale che fila dritta dall’inizio alla fine. Un racconto limato da un minimalismo strutturale e fraseologico che, escluse alcune eccezioni in cui con poca cura si descrivono eventi importanti in tre parole, obbliga il lettore a non distrarsi. Tre storie che il destino intesse tra loro più di quanto sarebbe convenuto ai tre ragazzi, le cui vite Fortunato narra con attenta semplicità mostrando come il dolore possa scavare solchi profondi e indelebili nell’esistenza delle persone.
Un piccolo bildungsroman (romanzo di formazione) moderno a tre voci in cui ogni membro di questa trinità è soltanto una dimensione di un essere che gli altri due completano. Tre ragazzi che si sostengono a vicenda, lottando con la vita che cresce dentro di loro e che, crescendo insieme, si fanno più male di quanto riescano ad aiutarsi. Tutto accade per il modo in cui loro vivono i sentimenti, il sesso e i rapporti con il resto del mondo che li circonda. Tre ragazzi che vorrebbero andare a Paros per cercare in un’isola la libertà e un rapporto completo e maturo; due cose che, insieme a Paros, nel tempo sfuggiranno loro.
Quasi per coerenza, il libro è composto da tre parti con tre diverse voci narranti: Mau, Mo e Matt, il figlio di Mo che cerca e trova un rapporto con Dav per conoscere i misteri che stanno dietro la vita della madre e del rapporto con i suoi due amici-amanti. In ognuna delle tre parti il racconto mantiene lo stile narrativo semplice e diretto ma nella terza sembra evitare alcune semplificazioni delle altre due parti e approfondisce le riflessioni del ragazzo americano che torna in Italia per ritrovare i luoghi e soprattutto le persone – i nonni e Dav – che possono dargli le risposte sulla giovinezza della madre che a lui servono per conoscere chi era stata la donna che gli ha dato la vita.
Quello scritto da Mario Fortunato è un romanzo di una formazione imperfetta e in parte tragica, dunque incompiuta, di tre ragazzi che la vita travolge seppure in maniera differente. I loro sentimenti divengono pericolosi quando diventano sesso e non tanto perché il sesso sia più pericoloso delle passioni, ma per la sua capacità di diventare meccanismo irreversibile di trasformazione della vita e per i suoi risvolti pratici cui Mo non ha voluto sfuggire coinvolgendo necessariamente e inevitabilmente i due ragazzi. Una formazione per loro incompiuta ma trasferita sui loro figli (di chiunque siano questi figli). Un viaggio desiderato e mai compiuto e che il giovane Matt, deciso ad imparare a nuotare, nel mare e nella vita, compie per loro. Una formazione che lui raggiunge sapendola costruire a partire dalle vite di loro tre.
Intorno alla vita dei personaggi, l’autore narra anche i loro luoghi con i relativi paesaggi e le tecnologie, la Rete e i telefonini, che ormai entrano in ogni esistenza e quindi anche in quella di Mo, Mau, Dav e Matt. I paesaggi sono quelli della Calabria fredda dell’interno e luminosa della costa, quelli della provincia americana dell’Iowa “con la neve alta un metro” e quelli di una Roma “bellissima e spaventosa” dove “si respirano polvere e decadenza”.
Quello di Fortunato è un romanzo breve che racconta vite brevi ma intense e sa essere un romanzo intenso nella sua narrazione diretta e scarnificata e allo stesso tempo profonda, se si escludono alcuni passaggi della vita dei personaggi che l’autore mette via in maniera sbrigativa in una sola frase, quando una maggiore attenzione avrebbe evitato al lettore alcuni salti affrettati e spiazzanti. Rimane comunque una storia narrata con la scrittura di Mario Fortunato che sa avvolgere e guidare il lettore senza ruvidezze anche quando i fatti sono dolorosi e i personaggi soffrono per l’impatto che hanno con il mondo e per la lotta ineliminabile cui la vita li obbliga.