“Il tempo che ci vuole” di Francesca Palumbo
Recensione di “Il tempo che ci vuole” (Besa, 2011), romanzo di Francesca Palumbo ristampato in questi giorni.
Mi ero prefisso di parlare di questo libro da molti mesi. Poi però ho dato retta al titolo: le cose, anche le più piccole, hanno bisogno del tempo che ci vuole.
E ho deciso di aspettare il momento, un giorno di pioggia che mi ha permesso di riprendere in mano quello che avevo lasciato indietro. E in questa giornata uggiosa decido di tornare a sfogliare “Il tempo che ci vuole” (Besa), il primo romanzo di un’autrice, Francesca Palumbo, che ha saputo raccontare una storia che è una storia come tante altre ma che è storia proprio perché racconta frammenti di vita, frammenti fragili e frammenti fortissimi, insomma tutto quel microcosmo che ci portiamo dentro e che ci permette di fare un passo in avanti, prendere decisioni, creare e distruggere pensieri e cose, fare errori e scegliere la via più giusta da seguire.
C’è una città che respira, Bari, e racconta di uomini e donne, ragazzi e ragazze, che vivono quel respiro e quelle strade. E ci sono storie incredibili che sarebbero bellissime da raccontare. Ma poi soprattutto ci sono quelle storie importanti proprio perché normali, quelle per cui è necessario raccontare e raccontarsi.
Ed è la via che percorre Francesca Palumbo: la narrazione così come ogni personaggio o luogo sembrano lambire la nostra memoria, sfiorare il nostro sguardo e la nostra realtà.
C’è un turbinio emozionale che sovrasta tutto, persino quei meccanismi probabilmente non voluti di creare i presupposti di un romanzo di formazione.
“Il tempo passa con il tempo” cantava Brassens, ma il tempo dell’autrice non scorre sulla superficie delle cose e degli uomini, scalfisce semmai la nostra interiorità, interi grumi della nostra coscienza.
Il tempo che ci vuole è quello che serve a comprendere, in un certo senso, la logica delle nostre azioni: le azioni di Monica e Dunia, adolescenti alle prese con la vita, così vicine nella loro diversità; le azioni di Girardi e degli altri professori che influiscono così tanto, nel bene e nel male, nella crescita dei propri alunni; nelle azioni del clochard Lacca, un uomo che decide di defilarsi dalla vita per rientrarne poi indirettamente e prepotentemente.
La scrittura di Francesca Palumbo è al tempo stesso leggera e colta, sfiora le corde dell’intimità per avere un respiro ben più ampio. La scelta corale permette di tessere una fitta rete di relazioni tra i protagonisti dichiarati e tutto il resto, lo scorrere quotidiano degli uomini in lavori, amori, debolezze, difficoltà.
Tutte quelle attività in fondo che quasi sempre riusciamo a vivere ma che quasi mai troviamo il tempo che ci vuole a comprenderli.