"Il disordine delle cose" di Silvia Pingitore

“Il disordine delle cose” di Silvia Pingitore

Recensione di “Il disordine delle cose” (La lepre edizioni, 2014) di Silvia Pingitore.

Lucia era una ragazza qualunque. Talmente qualunque da apparire sgangherata e fuori da ogni realtà. Un po’ anonima e impacciata con quei suoi vestiti vecchi, riciclati e desueti.

Due genitori, Giacomo e Graziella, che hanno da offrirle un cognome famoso, Fellini, dietro al quale si nasconde, però, una realtà fatta di povertà e rassegnazione. Un appartamentino modesto nella centralissima piazza Navona e una saponetta milleusi con cui lavare casa, persone e abiti; quegli stessi abiti comprati in una boutique all’ultima moda nella quale sua madre si recava una volta l’anno senza voler essere accompagnata. Che avevano profumi estranei e macchie che davano un tocco “vintage”, pur somigliando terribilmente ad aloni di sudore.

Ha uno zio, Alfredo, dal linguaggio e dai modi volgari, e un cugino, Mirco, di intelligenza inferiore alla media, che sfoga la sua mediocrità sulla stessa Lucia.

La sua personalità strampalata emerge ancora di più messa a paragone con quella dei ragazzi che incontra quando decide di iscriversi all’università “La Speranza”, facoltà S.C.E.M.I. Un corso di laurea di quelli che “affrontavano il vasto scibile umano ad ampio raggio, impartendo nozioni indispensabili per chiunque non avesse altro da fare”.

Nicolò, che dietro la sua aria di indifferenza nasconde una vita da delinquente, colluso con un boss della camorra.

Demetria, ragazzina perennemente insoddisfatta che cerca di dimenticare una vita vuota cedendo a un’altra fatta di apparenze fittizie e ingannevoli.

Ludovica, dimenticata persino dai suoi genitori, che vive di citazioni scimmiottando sbadatamente la vita di Jim Morrison mentre di nascosto scrive ancora letterine per Babbo Natale. Non a caso frequenta la facoltà di scienze filologiche, composta da studenti che sapevano di essere un “peso per la società”.

La vita di Lucia si svolgeva così, tra persone che annaspano malamente per non annegare, lezioni universitarie, esami come quello di Abilità informatiche di base 1: il floppy disk, professori universitari corrotti e dottorandi spremuti fino al midollo, frustrati a tal punto da arrivare a compiere gesti eversivi.

Ma il destino ha in serbo per lei una svolta. Sarà un viaggio ad aprirle una prospettiva diversa: per una incredibile serie di casi fortuiti e coincidenze partirà per la Finlandia proprio con suo cugino Mirco.

Un viaggio caratterizzato da letteratura, luoghi da scoprire e profumi inebrianti. Ma anche incontri imbarazzanti con altri italiani. Un donnone che con voce energica chiede animatamente a due connazionali di trovare un lavoro al figlio <<Quindi vostro figlio lavora alla Nokia? Il mio è ancora a spasso. Non è che c’è posto anche per lui alla Nokia? Ha trentadue anni e si è appena laureato al Dams>>.

Un viaggio che si concluderà con un incontro a sorpresa con Babbo Natale.

Ma se Mirco, scontroso e troppo chiuso nella sua mentalità, tornerà indietro potendo vantare solamente un’avventura con una scandinava (come gli era stato raccomandato da suo padre), per Lucia, dietro la cui aria smarrita ed ingenua si nasconde una ragazza curiosa che vuole conoscere ciò che la circonda e vivere esperienze sempre nuove, le cose andranno in modo diverso.

Una storia che attraverso tanti stereotipi racconta di giovani che si imbattono in un futuro che non solo non è quello felice che viene raccontato loro da piccoli, ma che addirittura rappresenta un ostacolo alla realizzazione di sé stessi, dei loro sogni e del loro diritto di vivere una vita appagante.

Un libro che può essere letto con diverse chiavi di lettura e forse le contiene un po’ tutte: ironia, amarezza, disillusione e anche rabbia.

L’uso eccessivo di stereotipi negativi, probabilmente funzionale allo scopo della narrazione, potrebbe lasciare però l’amaro in bocca a tutti quei giovani che restano e che non necessariamente vivono di espedienti. Quelli che vanno avanti con sacrificio e con la speranza che un giorno, in questo Paese, ci si accorga di loro. E magari che gli venga data la possibilità di vivere finalmente la vita che desiderano.

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