“I Resistenti”: i versi civili di Luca Ariano e Carmine Defalco
“I Resistenti”, è una raccolta scritta a quattro mani dai poeti Luca ariano e Carmine De Falco, vincitori del Premio Miosotis intitolato a Giancarlo Mazzacurati e Vittorio Russo.Si tratta di versi eminentemente civili. La raccolta, nel corso della narrazione, analizza le varie sfaccettature di una realtà di sempre più complessa lettura e con la quale l’uomo moderno si confronta costantemente , nell’affannoso tentativo di adattarcisi e di darle forma. Gli autori, con lo stratagemma del racconto poetico, prendono il lettore per mano conducendolo nel micromondo dei protagonisti che danno vita alle varie storie che si intrecciano all’interno del libro. Si tratta, per lo più, di un mondo di paese dove i sogni si fondono con la realtà e dove appare assai complesso armonizzare i due poli della coscienza umana. La lotta per difendere un ideale, i lavori sottopagati, le malelingue, gli scandali veri e quelli presunti costituiscono la materia vivida del tessuto poetico-narrativo delle liriche. Il contrasto tra realtà e idealismo, tra aspirazione e resa dei conti e la cruda realtà inducono il lettore a riflettere sul valore reale delle cose, a cercare un senso al fluire, lento e inesorabile, della vita umana. In questo contesto Fiulin, L’Amalia, Pippo, la Signora Mazzetti, l’Emilio e il compagno Giorgio assurgono a veri e propri prototipi di umanità, diventando al contempo personaggi e personificazioni dei valori che incarnano.
Assai azzeccato è anche l’utilizzo del dialetto, pavese e partenopeo, per aggiungere colore, calore e spessore ai sentimenti che muovono le figure al centro delle vicende. Ma se è vero che la citazione dialettale suona spesso come una sentenza, lo è altrettanto che serva per sdrammatizzare e ricondurre, attraverso l’ironia, a una riflessione agrodolce e dal sapore tutto italiano.
A una prima lettura, I Resistenti può sembrare un testo sperimentale o, inversamente, “filoneorealista”, per la scelta dei personaggi e per le citazioni dialettali. L’impasto di italiano e vernacolo può ricondurre, quasi per direttissima, alla poetica gaddiana. In realtà, dopo una più attenta analisi, ci si accorge che il “debito formativo” è, per lo più, da ricondurre alla poesia civile del Porta e, per ciò che concerne il tono, al milanese Delio Tessa. Benché scritto a due mani, il libro risulta linguisticamente omogeneo e unitario nelle tematiche. Stilisticamente, la tensione del verso viene mantenuta salda attraverso una serie di cesure interne, di assonanze, consonanze e rime preferibilmente interne. La lingua, in conclusione, è un impasto di italiano, gergo, prestiti linguistici e tecnoletti, indubbiamente sulla scorta di Carlo Emilio Gadda. Il linguaggio, in ultima analisi, altro non è che la metafora della coscienza dell’uomo moderno, costantemente in bilico fra tradizione e modernità. Una raccolta accorata e intimamente civile, un libro da non perdere.
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