I pesci non chiudono gli occhi… ma i terremoti si! / Incontro con Erri De Luca
Lettura di “I pesci chiudono gli occhi” (Feltrinelli) di Erri De Luca, un’occasione per scoprire uno degli autori italiani contemporanei più apprezzati dalla critica.
“Ti piace l’amore?”
Chiese guardando dritto di fronte, dove si alzava la fiancata di una barca colorata di bianco e di una striscia azzurra.
“Prima di questa estate lo leggevo nei libri e non capivo perché gli adulti si scaldavano tanto. Adesso lo so, fa succedere cambiamenti e alle persone piace essere cambiate. Non so se piace a me, però ce l’ho e prima non c’era”.
“Ce l’hai?”
“Si, mi sono accorto di avercelo. È cominciato dalla mano, la prima volta che me l’hai tenuta. Mantenere è il mio verbo preferito.”
“Cose buffe dici. Sei innamorato di me?”
“Si dice così? È cominciato dalla mano, che si è innamorata della tua. Poi si sono innamorate le ferite che si sono messe a guarire alla svelta, la sera che sei venuta in visita e mi hai toccato. Quando sei uscita dalla stanza stavo bene, mi sono alzato dal letto e il giorno dopo ero a mare”
“Allora ti piace l’amore?”
“È pericoloso. Ci scappano ferite e poi per la giustizia altre ferite. Non è serenata al balcone, somiglia a una mareggiata di libeccio, strapazza il mare sopra, e sotto lo rimescola. Non lo so se mi piace.”
“Il bacio che ti ho dato, quello almeno ti è piaciuto?”
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Il mio incontro letterario con Erri De Luca, intendo quello alla lettura, non fu dei migliori.
Già molti anni fa avevo sentito parlare dell’autore e diversi amici ne erano entusiasti, ma per quegli strani e molteplici percorsi, che come per scrivere ci inducono a leggere determinate cose in uno specifico momento della nostra esistenza, non avevo mai incrociato l’autore.
Un giorno davanti alla tv, facendo zapping, vedo Erri De Luca a Le Invasioni Barbariche, che si apprestava ad essere intervistato da di Irene Bignardi, decido quindi di seguire la trasmissione. Indubbiamente l’autore rispondeva con brillantezza e con quel gusto del paradosso tipicamente partenopei, ma ci fu una risposta che per me fu particolarmente deludente.
Per una circostanza che non ricordo, si finì per parlare di case e terremoti, e De Luca suggerì che bisogna avere un atteggiamento di non attaccamento in questo senso, che i terremoti fanno parte della nostra dimensione di essere umani, e dobbiamo accettare che un bene ci sfugga via. La casa è una dimensione di per sé precaria, anche in senso relativo: oggi c’è e domani arriva il terremoto. Bisogna accettare ciò come pertinente alla natura effimera della nostra esistenza.
La cosa potrebbe sembrare un dettaglio secondario, ma non è così. Al netto che è sempre detestabile l’eccessivo attaccamento ai beni materiali, e che giustamente molte abitazioni non sono e non possono essere facilmente essere adeguate a criteri antisismici, da diversi decenni le competenze in merito ci permettono di costruire case sicure senza eccessivi aggravi. Ciò che chiamiamo ineluttabilità è solo nella nostra testa, nella nostra incuria. Questo vale naturalmente soprattutto per le abitazioni costruite dagli anni ’70 in poi.
Ma perché un’affermazione del genere, apparentemente cosi marginale, mi deluse in modo particolare? Perché ebbi la percezione che De Luca fosse attaccato a una certa idea di passato e di conseguenza di elaborazione del presente, che vede ogni cosa fissa e immobile, quando è evidente che non è così. È mutevole anche il nostro tipo di rapporto con la precarietà dell’esistenza, in bene e in male, anche in modi nuovi, che dipendono dal costume e dal progresso o dalla decadenza. In sostanza mi feci l’idea di un autore reazionario per palati che amano il ‘vintage italy’. Il passato per me è fondamentale, ma in una dimensione plastica e armonica. Di ineluttabile non c’è proprio nulla. Addirittura, come insegna la PNL, cambiando la nostra idea del passato modifichiamo il presente e il futuro. Posta in tale modo è una visione semplicistica, ma so che è reale e può avere molte conseguenze positive. Non sapevo che proprio questa è un’attinenza con la filosofia dello scrittore. Decisi però in quel momento che non volevo approfondire.
Successivamente mi capitò tra le mani questo I pesci non chiudono gli occhi (la mia prima lettura della sua produzione), libro decisamente riuscito, vero, intenso. Ho compreso meglio l’approccio di Erri De Luca, che ha un rapporto viscerale con il passato, vi si immerge con tutta la propria anima. Per lo scrittore il vivere le emozioni, i pensieri e le sensazioni del tempi andati è un modo in cui egli trova le ragioni del presente – e fino a qui c’eravamo anche prima – ma questo non è sufficiente, occorre andare più a fondo, quindi penetrare con la propria esistenza in ciò che non si è vissuto. E oltre! Il suo è un vero atto d’amore che diviene simbiosi con il passato, il proprio e quello della gente che ha vissuto altre circostanze o la guerra, sul fronte e nelle città, soprattutto a partire dalle persone più vicine a noi.
Ecco perché De Luca cerca anche esperienze lontane che lo possano accomunare a quello che hanno vissuto i nostri nonni o i bisnonni. È un atto di riappropriazione, di occlusione a sé. E qui emerge anche l’autore biblista, che ha scritto libri molto interessanti, i quali spesso affrontano scritture o episodi del Primo Testamento e della Torah. Il suo profondo interesse per Ebraismo e Cristianesimo appare ovvio. Per l’autore, a prescindere che si sia credenti o meno, è piuttosto chiaro che gli antichi testi delle religioni abramiche contengano profonde verità sull’uomo, sulla sua essenza.
Tornare indietro da un punto di vista intellettuale riduce tutto all’essenziale, e questo fa emergere la verità e la bellezza del mondo, mentre nella vita individuale magari capita il contrario, è l’andare avanti negli anni che porta all’essenza, che si va incontro alla propria epifania, come spesso menzionato da Jodorowsky.
Ma allora torniamo di nuovo al ‘mio’ terremoto. Inizialmente qualsiasi terremoto è perdita, distruzione, dolore. Nella tribolazione tutti vedono e sanno cosa perdono. Successivamente – si pensi alle grandi calamità dei secoli scorsi nel mezzogiorno – cala l’oblio del tempo e dove una volta c’era lo splendore non di rado scende una coltre che cancella tutto, elimina la memoria collettiva dell’avvenimento nella coscienza di chi vive nei luoghi colpiti e ancor di più del visitatore. Quel centro urbano ricostruito (e tante volte non ricostruibile) senza i simboli le grandezze del passato diviene un luogo poco interessante, ‘povero’, un luogo dove c’è poco o nulla, e non si possiede traccia emotiva di quello che esisteva, molto semplicemente perché a distanza di secoli ogni cosa diviene ciò che è, a prescindere da tutto. Il prima remoto, che spiega ancora meglio il presente, non interessa alcuno. La tragedia subita diviene solo vergogna nel presente e magari anche ironia se dici che in un dato paese di duemila anime c’era un’università prestigiosa.
È invece il prima che spiega l’oggi, o almeno ci offre una diversa e migliore prospettiva delle cose. Se non ti immergi nel passato non puoi spiegare il presente.
Ci vuole molto altro ancora, ma la dimensione di Erri De Luca è questa, o meglio la sua specializzazione letteraria, se così si può dire.
Ne I pesci non chiudono gli occhi, l’autore affronta in modo delicato un percorso di iniziazione di un ragazzino tanti anni fa, quando si partiva (chi poteva) da Napoli per andare nell”isola’.
Il libro è denso di autobiografismo e di episodi rivelatori dell’esistenza. Là, nell’isola, alcuni decenni fa il piccolo corpo del protagonista si schiuse alla scoperta della parola ‘amore’, alla violenza (subita), alla crescita fisica vissuta in maniera problematica e alla presa di coscienza di se stesso, con la consapevolezza che non di rado le esperienze più intense e belle possono durare l’arco di una stagione e hanno una loro ragione imperitura, ma solo in essa. Nella nostra vita c’è chi passa per un mese, chi per anni e chi ci rimane per sempre, e tra tutti questi ci sono le semplici comparse e i protagonisti.
L’io narrante del romanzo è quello di un adulto, di cui avvertiamo lo struggente ricordo dei propri cari che non sono più in vita, quello delle consuetudini del passato, dei pescatori, delle lotte operaie (le proprie), di vicoli chiassosi. Di strade vissute e di quelle non vissute ma percorse da altri, così lontani e così vicini. In De Luca c’è l’azzurro del cielo di settembre a mare, quando questo diventa intenso e si tocca con un dito, ma anche un velo di grigiore continuo, un senso di irresolutezza delle cose, che è anche genesi creativa per l’autore.