Giorgio Biferali: “Giorgio Manganelli. Amore controfigura del nulla”
Recensione del volume di Giorgio Biferali “Giorgio Manganelli. Amore controfigura del nulla” (Artemide, 2014).
Se aprissimo Centuria di Giorgio Manganelli e iniziassimo a leggere il trentasettesimo dei cento “piccoli romanzi fiume” che costituiscono il libro, ci imbatteremmo nella curiosa vicenda di un uomo in tranquilla attesa di una donna nel luogo dell’appuntamento. Nonostante lei non arrivi, «egli» è piuttosto rilassato e per nulla offeso. Inizia così a elaborare diverse ipotesi per spiegare il ritardo: potrebbe essersene dimenticata, potrebbe aver deciso di non presentarsi in un momento di collera, potrebbe aver sbagliato l’ora o magari il luogo. Quest’ultima evenienza, pensa l’uomo, «vuol forse dire che lei si ripara, si rifugia in un qualche luogo segreto, e che l’assenza è allora paura, fuga, o anche gioco, richiamo? O che l’appuntamento era dovunque, per cui nessuno in realtà ha potuto mancare l’altro, né per il luogo né per il tempo? Dunque, egli dovrebbe concludere che in realtà l’appuntamento è stato non solo rispettato, ma ubbidito con assoluta precisione, anzi è stato interpretato, capito, consumato. Il lieve piacere si sta trasformando in un inizio di gioia. Decide anzi che l’appuntamento è stato talmente vissuto, che ora non può dare nulla di più alto e totale di se medesimo. Bruscamente, volta la schiena al luogo dell’incontro, e sussurra teneramente “Addio”, alla donna che si appresta ad incontrare».
Il lungo stralcio di cui sopra restituisce l’idea di un amore vissuto e consumato solo in quanto lontananza e assenza: una questione tutt’altro che estranea all’attività letteraria di Manganelli. E al tema dell’amore, e alle originali forme di volta in volta assunte nell’ambito della produzione manganelliana, è dedicato il libro di Giorgio Biferali, Giorgio Manganelli. Amore controfigura del nulla, pubblicato, nella collana Proteo, dalla casa editrice Artemide.
Pur inserendosi nel solco del generale interesse editoriale e critico che avvolge l’autore milanese ormai da diversi anni, il saggio di Biferali ha il merito di strappare Manganelli dall’immagine di scrittore puramente manierista e barocco con la quale viene continuamente (e rapidamente) etichettato. Certo, non possono essere ignorati gli straordinari labirinti linguistici propri dello sperimentalismo manganelliano; tuttavia non bisogna credere che questo sperimentalismo si esaurisca in se stesso, chiudendosi dentro il guscio di opere costruite unicamente sulla base di un puro gioco letterario e formale. Del Manganelli barocco, come vedremo, l’autore del saggio predilige soprattutto la condizione di duplicità interiore, contraddittoria, ossimorica e “ilarotragica”, nascosta tra le pieghe della scrittura.
Il punto di osservazione scelto da Biferali mette a fuoco un argomento poco considerato dalla critica: l’amore, appunto, e il particolare significato assunto nel contesto della creatività manganelliana. Partendo dall’inquieto percorso biografico dello scrittore, segnato da gravi traumi affettivi legati prima alla figura della madre e poi a quella dell’unica moglie, per poi passare alla giovanile fase di produzione poetica, tradizionalmente messa da parte nel confronto con la ben più grande attività prosastica, viene riscontrata una martellante insistenza nel legame tra amore e nulla (con tanto di riferimenti alla morte). Seriamente sfigurato da quelle che avrebbero dovuto essere le più importanti esperienze sentimentali (quella materna e quella coniugale), Manganelli matura interiormente un’immagine dell’amore quale assenza e mancanza. Nella lirica Abbiamo tutta una vita risuonano chiari i versi «Abbiamo tutta una vita / da NON vivere insieme»; e ancor più intensi, perché attraversati da un lacerante senso della contraddizione e della coincidenza degli opposti, risultano quelli di Da te mi salvo: «Da te mi salvo / venendo a patti con la tua presenza: / con parole amichevoli, accorte, / ti induco a non esistere».
Fin da questi primi tentativi poetici, indicati da Biferali come «un preludio ideale per comprendere il materiale immaginario di tutta l’opera manganelliana», prendono corpo alcune ossessioni che saranno affrontate successivamente, a partire da quell’infernale viaggio nell’inconscio rappresentato dal vero esordio dell’autore: quell’Hilarotragoedia che verrà pubblicato nel 1964 presso Feltrinelli. Al trattatello, definito un affastellamento «di precetti gnostici, di complessi edipici, di archetipi junghiani», Biferali dedica il capitolo più interessante del libro. Armandosi degli stessi strumenti psicoanalitici e filosofici che fornirono la base teorica necessaria a Manganelli per elaborare il suo capolavoro, il critico sottolinea il ruolo rivestito dalla vita come interruzione in attesa di un ritorno alla vera vita, subito dopo la morte. L’impatto con gli archetipi, le angosce e le pulsioni inconsce, si riassume nel confronto fondamentale con la madre, primo oggetto d’amore e fonte principale di dolore. La figura dell’archetipo materno è permeata da quella stessa contraddittorietà che è propria del sentimento amoroso in quanto assenza e spinta verso il nulla.
Anche in quell’importante libro del 1981, intitolato, guarda caso, Amore, Manganelli individua il sentimento in una zona imprecisata, distanziata dall’io, in un limbo di non esistenza che costringe l’amante stesso a non esistere: e questa dimensione fantasmatica, negativa e, infine, mortuaria sembra essere l’unica disponibile ad accogliere l’amore. Ma se alla letteratura Manganelli ha deputato il compito di ospitare quanto di tormentoso nascondeva all’interno della sua fantasia, è altrettanto vero che proprio ad essa, alla letteratura, ha dimostrato la forma più fedele e travolgente di amore, mostrandosi sempre bendisposto a mettersi al servizio della parola scritta. Proprio con quest’unica forma di innamoramento possibile, Giorgio Biferali conclude il suo libro, validissimo studio in grado di guidarci tra gli intricati grovigli manganelliani tramite un percorso che rende ancor più interessante l’incontro con uno scrittore oscuro e complesso come Manganelli, che proprio in virtù della sua straordinaria complessità non smette mai di coinvolgere ed ipnotizzare.