“Giocatore di whisky, bevitore di poker” di Daniele Campanari
“Giocatore di whisky, bevitore di poker” è un libro di poesie scritto da Daniele Campanari per “Lettere Animate”, che vanta la prefazione di Davide Rondoni.
Le poesie di Daniele Campanari trovano il loro spazio in una dimensione poetica, almeno per l’Italia, nuova. Propria questo carattere comporta attenzione, fin dalla prima lettura -che essa sia attenta o meno- emergono in toto i difetti e le qualità vibranti dei versi: le poesie sono vive, frizzanti, attuali, pronte all’uso, come non accade da tempo alla poesia italiana in genere; eppure -proprio come detto- queste qualità nascondono alcune pecche, soprattutto formali.
Non è questo il luogo di trattare di ciò che è o non è poesia, e si eviteranno polemiche sterili su un testo fortemente narrativo come Il lato positivo del semaforo rosso e i baci sul collo, ma senz’altro premerà sottolineare che l’operazione alla “Bukowski” di Campanari -chi scrive è convinto costruita più sui testi che sulle strade (e questo è un pregio)- riesce a metà, e la freschezza del poeta viene, a volte, frustata da alcune vecchie abitudine metriche che, oggi, non hanno più attualità (poetica): la formula cristallizzata dell’anastrofe in alcuni versi, ad esempio «Inseguivamo il floreale venditore» (v. 9) di Estetiste e becchini su cui ci si interrogherebbe invano per stabilire se esso sia un vizio biografico, derivato cioè dalla professione giornalistica dell’autore, o altro, comunque non intravedo ragioni metriche; l’incapacità di dare un ordine formale, una metrica, per quanto labile ai versi, dramma, però, che investe praticamente tutta la poesia italiana dagli anni ottanta (almeno) del secolo scorso ad oggi (escluso, probabilmente, tra i “nuovi” il solo Bandini); il verso spesso corto, cortissimo anche se sbilanciato in altre poesie da lunghissime frasi.
Insomma, il fenomeno consiste in questo e mi si perdonerà se ho descritto prima i difetti, ma sono convinto che essi siano la parte migliore di una recensione (che dovrebbe essere scritta per chi legge) e nel caso specifico, quasi per paradosso, sono funzionali ai pregi della raccolta: sembra quasi di leggere una “traduzione” pregevole -ma chiaramente non è così e a volte il risultato è sorprendente- di una delle raccolte di Bukowski, alcune poesie mi hanno fatto venire in mente Open All Night o You Get So Alone at Times That It Just Makes Sense del californiano, ingiustamente passato alla storia per i più solo come un rozzo ubriacone autore di racconti estremi.
Campanari eleva il suo sostrato culturale, finissimo è il gioco di alcune figure, fin dalla sillessi del titolo della raccolta, ottima, e davvero ottima è l’onesta di fondo di alcune poesie come Manco un’ombra (che ho apprezzato tantissimo):
Stavamo in un freddo sottoscala
a smanettare con le figurine
a gridare con gli spiccioli
a contemplare vecchi scaffali vuoi.
Non ci si divertiva poi così tanto
a Latina solo eroi balbuzienti per la strada
saltellanti applausi a mani basse.
E noi?
A smanettare con le figurine.
Freddo sottoscala
battaglie col Risiko
imprenditori del Monopoli
furfanti da Playstation.
E donne?
Manco l’ombra.
[…]
Preme, in ultimo, sottolineare il carattere politico, sociale di altre, come ad esempio Twittami, baby oppure questi tre versi di Ricordati di fare la raccolta differenziata:
Alcuni vanno a destra
alcuni vanno a sinistra
alcuni vanno al centro.
Per concludere, credo si possa perdonare l’esuberanza, lo smarrimento poetico non suo ma di tutto il mezzo poetico -almeno per ciò che riguarda l’Italia- e si leggerà con piacere una delle voci più vive della sua generazione, capace senz’altro di far sentire chi si sarà imbattuto in queste poesie un dato di fondo comune, un’appartenenza a una classe smarrita, assolutamente, questo, uno degli scopi princeps dell’atto poetico. Semmai peccato d’ “Autore” sarà quello di aver fatto nascere Campanari a Latina una ventina d’anni fa e non a Fresno negli anni trenta.