“Fluo. Storie di giovani a Riccione” di Isabella Santacroce
Recensione di “Fluo. Storie di giovani a Riccione” (Feltrinelli) di Isabella Santacroce.
Nel 1985 Luca Carboni cantava con un fondo di malinconia progressista ‘Sarà un uomo’, ma anche l’edonista ed evasiva “Solarium”:
Perdo la testa
perdo la testa per un paio di occhiali da sole
uhm… perdo la testa
per gli occhiali da sole
Un’altra lampada al viso
per non accorgersi più dell’inverno
per non sparire nel grigio
alle fermate del tram
Tenere in mente che al primo straccio di sole
scivoliamo a Riccione
tenere in mente che appena si affaccia il sole
c’è da uscire col cabriolet
Perdo la testa
perdo la testa per quest’anno di quattro stagioni
che dovrebbe averne una, sì,
e non una di più!
Riuscirà il nostri Olivetti
a fare in fretta a farci questo regalo
la fantascienza, amici,
la fantascienza è anche questa qui!
È non avere i piedi in questo pantano
dentro a questi moonboot
è avere in mano un misterioso bottone
che lo schiacci su quello che vuoi tu
Fiocchi di neve
picchiano in testa come zoccoli d’infermiere
coprendo il mondo di una falsa,
bianca, tranquillità
Si piega tutto, tutto,
dalle spalle alle antenne della TV
e allora un ‘altra mezz’ora
e vedrai come scoppierà
l’energia di chi abbassando gli occhiali
ha già fatto nascere un flirt
l’energia di chi sa scegliere bene
i colori delle sue t-shirt
Perdo la testa, perdo la testa,
in fondo qui ci sto perdendo la vita
datemi in fretta un altro giorno
che questo non mi va
Un’altra lampada al viso, mezz’ora
e sono dentro un cinema all’aperto
fumando sull’ultimo delitto commesso
al “Cotton club”
Mentre il vento che sfiora le suore
davanti alle colonie
ti strappa alle labbra frasi del tipo:
“Ah… la vita è questa qua!!”
Chissà perché ho sempre creduto che mentre il vento che sfiora le suore davanti alle colonie fosse mentre il vento ti sfiora le suole davanti alle colonie. Bah. Sarà che mi piaceva l’idea un po’ spaghetti-western delle suole e della brezza del lungomare.
Devo aggiungere poi che l’Olivetti non ci ha fatto questi grandi regali, tranne qualche buona stampante per il pc.
È un certo mondo degli anni 80′, qui tra le righe non privo di ironia, nel quale forse un po’ furbescamente si assecondava la moda “paninara”. Una moda tanto insulsa quanto effimera, ma curiosamente non banali sono le tendenze che l’hanno attraversata – musicali e non – resistendo nel tempo e trasformandosi in altro, o forse più prosaicamente si dovrebbe dire che gli artisti e la letteratura di allora hanno semplicemente cavalcato una mutazione sociale del periodo, sicuramente molto più esibita nella sua esposizione mediatica di quanto poi corrispondesse alla realtà. Un bubbone superconsumista di una società che si riteneva a prova di qualsiasi bomba o nefandezza, che era orientata a risolvere i suoi conflitti sociali, che ci avrebbe nutrito di nuovi regali, ci avrebbe viziato come pargoli d’oro. Non era così, ma credevamo che il mondo ci avrebbe amato e coccolato, anche se alla prova dei fatti nulla ce lo lasciava intendere. Era un’Italia sbarazzina, che gettava il cuore oltre l’ostacolo, e il bello è comunque che questo insegnamento è rimasto in noi adolescenti di allora, almeno in una parte consistente di noi.
Nei primi anni 90′, i nostri venti anni, le tendenze degli anni 80′ si fanno acide, elettriche, vergate di chimica.
Isabella Santacroce mi ricorda che in quegli anni la Moni arriva in Solex argento e tuta mimetica. Ci aspettano per un crazy color da paura che stravolgerà i nostri capelli very castano. Rosa baby, verde erba, verde acido, viola Dior, celeste cielo: io scelgo il viola Dior e Moni il rosa baby. Il viola Dior è fuori, uguale al mio rossetto: così intenso e sensuale, non resisto. Io viola e Moni rosa ronziamo per Riccione, ridendo della gente che ci guarda come Ufo.
Per due mesi all’anno le capitali d’Italia e d’Europa diventavano Rimini e Riccione, perché è lì che bisogna esserci. Tutte le mete del meridione e del nord vanno forte, ma come mi diceva una tipa, io vado sempre dappertutto, ma se non vieni prima almeno dieci giorni in estate a Riccione cosa campi a fare? Le faccio io, con una connaturata ironia Già, vuoi mettere un’estate senza Cocoricò, Paradiso, Baia Imperiale, Nuovo mondo studio, l’Embassy, e certo, forti di questo andare ad Ibiza al Pacha e al Ku è un’altra cosa… Eppoi two is megl che one, citando in ultimo un noto spot di quei tempi con Stefano Accorsi, che funzionava sempre. Si, però l’Embassy è roba da sfigati e da papponi, chiosa lei. Cerco di tamponare i danni nascondendo rapidamente i bue biglietti gratuiti che avevo rimediato per l’Embassy.
Il “rimorchio” diviene un obbligo morale prima che una naturale e semplice esigenza dei sessi. Se non rimorchierai, la comitiva si preoccuperà per te, ci sarà chi si sacrificherà affinché tu possa conoscere l’anima gemella o semplicemente quella dell’estate o della vacanza. E tu vorresti liquefarti e scomparire sotto la sabbia quando un tuo amico dirà È buona la mela? approcciando la tranquilla e sconosciuta ragazza che, occhiali da sole e capelli al vento, mastica il frutto in totale tranquillità. E funziona! Il segreto è unicamente nell’esserne convinti. Questi sono (erano) gli amici rompighiaccio, quelli che dicono qualunque fesseria (il termine esatto sarebbe un altro) con lo spirito del kamikaze. Guai però a dubitare dell’efficacia positiva delle proprie scemenze. Bisogna essere impavidi, e il viso non deve tradire la tensione che si genera quando si crede di aver detto qualcosa di inopportuno. Lezioni riccionesi, lezioni di vita. E Isabella Santacroce – riccionese doc – di quel mondo ne è impastata.
Un mondo poi iper e over, dove un orologio non è un orologio, ma un Rolex, un Longines o uno Swatch, dove uno yogurt non è uno yogurt ma uno Yomo, e gli occhiali non possono che essere dei Ray-Ban (e c’era gente che non se li toglieva neanche quando dormiva, giuro!), un supermercato è la Coop e il Conad. Se si è di sinistra il primo, se si è di destra il secondo. Ovvio, no? Mi ha detto una volta un’esperta casalinga, ragguagliando su offerte e promozioni dei maranza chiassosi e ciabattanti, guidata da un Rambo o Mastro Lindo tutto oleoso. Per la storia aggiungo che io so che il primo è considerato di destra mentre il secondo di sinistra.
Riccione, come luogo del divertimentificio per eccellenza, dove la discrasia tra il clamore continuo di gente, risate, locali può non far rima con l’umore interiore, acuendo il disagio. È proprio in luoghi come questo dove la baldoria diviene un fronte compatto, un battaglione in guerra, avvolgendoti come un fiume in piena, che vedi gente piangere. Essendo nato in un posto turistico ho sempre osservato che la bellezza dei luoghi e il clamore delle vacanze fanno manifestare di più i conflitti interiori o di coppia e viceversa esaltano le armonie, le positività. Se si è in crisi la vacanza la acuirà, se invece si è in pace emotiva ed intellettuale, la vacanza marcherà ciò con dei ricordi meravigliosi. Alle vacanze non si sfugge. Per esempio, una famiglia in crisi non può che scoppiare. Detto in parole povere: o si diviene un sorriso svolazzante oppure si collassa. La vacanza però può conservare uno stato di mediocrità esistenziale, mentre in altri casi la sblocca in un verso o nell’altro.
Il divertimentificio puro invece trasforma ognuno in un ingranaggio dello stessa fabbrica di emozioni. È un orologio che non conosce stati umorali, ma marca sempre una sola ora dell’anima, quindi o si timbra il cartellino su quella sintonia oppure si è sbagliata vacanza. All’Acquafan c’erano operatori che spingevano fisicamente a ballare i riottosi. Venivano tirati su, spinti e trasportati in pista perché o ci sei o non ci sei, e se ci sei ci devi essere sempre!
Ma in generale emergevano qua e là delle inquietudini. La Santacroce ci ricorda anche come queste fossero dovute a una condizione più generale che andava lentamente palesandosi. Siamo a viale Ceccarini.
Camminare con queste ciabatte marocchine è una vera impresa. Sono molto rigide e poi fa un caldo paura e questi occhialini con le lenti rosa è come non averli. Le commesse sono sempre lì a far vetrina.
Tutt’a un tratto mi sento veramente sola. Unica anima sopra atolli senza verde. Un attacco di panico angoscioso paralizza la mia mente e accelera il mio cuore. Forse sverrò e cadrò per terra e tutti penseranno che sono una disgraziata ragazzina un po’ puttana scappata di casa. Saranno tutti curiosi e nessuno chiamerà un’ambulanza e nessuno mi toccherà per paura di chissà quali mortali infezioni. Io sarò a terra con i capelli viola davanti alla faccia e le ciabatte marocchine saltate chissà dove e calpestate, calpestate fino a distruggersi. Una vecchia con capelli tipo Miss Marple dirà con la voce acidamente disgustata: “Che brutta marmaglia i giovani d’oggi. Che brutta roba. Guarda che capelli da disgraziata. È una vergogna. Poveri genitori. Più gli danno e più loro li trattano a pesci in faccia. Che schifo!”
E io stesa, magari con gli occhi spalancati e immobile e tutta quella brava gente che si ferma e guarda impaurita e curiosa di vedere strane reazioni drogherecce. Forse verrò anche calpestata ripetutamente e trasformata in poltiglia acquosa e i ragazzini giocheranno a scivolarci sopra e faranno dello skate acrobatico sui miei resti. Tempo fa ho visto un gatto morente sull’asfalto e sadico-bimbi aspettare altre ruote per godere altro sangue.
Viale Ceccarini, dunque. Eppure è un viale come un altro. Elegante, ben curato, ma nulla di che. Sedersi in un grigio giorno d’autunno o scrivere adesso un articolo a giugno, e in preda a un fiotto esistenzialista chiedersi finalmente chi è colui o colei che dà il nome al ‘viale del cucco’ per antonomasia. Da wikipedia: “(…) Un’impronta decisiva alla città si deve ai coniugi Ceccarini ed in particolar modo alla moglie, Maria Borman, di origine statunitense, a cui venne dedicata una lapide negli anni novanta sul lungospiaggia che porta il suo nome, la quale, vedova del marito medico, diede un notevole apporto economico per la costruzione dell’ospedale cittadino, e per tante altre importanti iniziative sociali. In suo onore è stata eretta anche una statua, installata il 9 ottobre 2012. La statua è stata realizzata per iniziativa della Famija Arciunesa dallo scultore cesenate Leonardo Lucchi.”
Forse non esiste viale al mondo più nominato e la cui intestazione contemporaneamente è sconosciuta ai frequentatori, che spesso lo nominano “il Cecca”. Beh, l’amministrazione comunale sarà stata ben conscia di questa necessità, se quindi negli anni 90′ e poi nel 2012 si è reso indispensabile arricchire il decoro urbano di menzioni in tal senso. Mi saranno grati di questa ulteriore diffusione.
Trovarsi a viale Ceccarini non può non suscitare domande esistenziali. Ho visto foto di amici in inverno lì – per esempio – e la loro espressione era interrogativa o riflessiva. Per me è la Legge del Cecca, che come una grande onda sulla spiaggia suscita poi una risacca. Non si sfugge.
Se negli anni 80′ ci si adagiava stile Cotton Club, nei primi 90′ il look dove essere ancor di più stile latino-americano, anche sulla scia di Anthony Delon in “Cronaca di una morte annunciata”, mentre in discoteca l’effetto devastante di pastigliette, che hanno i nomi più strani, provocano in me da puro osservatore (ma dalla sana e forte idiosincrasia per questi ‘rimedi’, complice anche una condivisa educazione familiare) delle nuove esperienze, come per esempio il vedere gente che dopo averne fatto uso si lancia dall’alto spiaccicandosi, per esempio un tizio a un paio di metri dalla mia poltrona, mentre accomodato in un locale, sorseggiavo una piña colada ; persone che “gli prende a male, tanto da avere propositi suicidi o da non distinguere un incubo dalla realtà”; gente che invece ride e ride e ride e il cuore gli scoppia; gente che la devono legare “tanto un paio di giorni e gli passa”. E poi osservare gli occhi iniettati di sangue, i cui bulbi oculari sembrano lesionati come cubetti di ghiaccio. Una strana e gratuita aggressività si dipinge in quelle espressioni. Si diceva che l’ecstasy aumentasse la libido e determinasse la caduta dei freni inibitori. In particolare si favoleggiava di girls che si denudavano nei bagni delle discoteche, ma io questo invece non l’ho mai visto. Sei stato nei bagni sbagliati, mi ha detto un amico tempo fa.
Di fatto queste pasticche sono passate per essere delle ‘droghe pulite’ – sin dal facile utilizzo, non fastidioso come le siringhe – ma invece hanno fatto danni devastanti. C’è sempre ‘un nuovo e più accogliente paradiso’ che attende i giovani di ogni età…
I giovani però tendenzialmente fanno sempre paura. Se negli anni 70′ si temeva un’onda alternativa che avrebbe trasformato alcuni paradigmi della società, negli anni 80′ fino a parte degli anni 90′ si scongiurava l’attivismo e un certo dinamismo giovanile ‘fuori controllo’, dagli esiti incerti e peraltro ancora oggi in emersione, dato il consueto atteggiamento reazionario del nostro paese. Si sentivano spesso in autobus o altrove frasi come Questi giovani… troppa libertà ha dato loro alla testa… le confesso signora che io ho terrore… questi qui sono di un altro mondo!
Riccione città dei contrasti: le processioni con le donne in velo, stile primi novecento, che si incrociano con bande di ravers o rockers in giro per la città, radio al collo e balli estemporanei. Ma è città del contrasto solo perché più stridenti e vicine sono realtà diverse. Cosa sono Riccione e Rimini se non innanzitutto delle cittadine italiane, anche con tutte le realtà tipiche di ogni centro della penisola. Eppure vedere una processione dell’Assunta tra alberghi, lounge bar, gente che si prepara dopo aver dormito tutto il giorno, house music sparata a palla, fa un certo effetto straniante. La cosa che mi ha sempre colpito è l’ammirevole capacità non contestuale di certe manifestazioni, anche personali.
Il romanzo parzialmente autobiografico della Santacroce, vede appunto una protagonista adolescente alle soglie del suo diciottesimo compleanno. La cosa che mi intriga è un certo atteggiamento disinvolto che riconosco in alcuni amici, sarà forse pure un fatto generazionale, perché la scrittrice è appena più ‘vecchia’ di me di qualche mese, ovvero la capacità di percorrere spazi e situazioni come se fossero un cantiere aperto. La facoltà di entrare in tutte le sfere sociali, da quelle intime a quelle collettive con estrema nonchalance. E non si tratta di un atteggiamento da approfittatori, perché il tipo di persone a cui mi riferisco riconosce lo stesso diritto agli altri. Imbucarsi disinvoltamente in una festa riservata, fare un bagno con idromassaggio in un bungalow non affittato, accomodarsi su una qualsiasi sdraio in spiaggia, e allo stesso modo non fare problemi se si è oggetto di invasioni di questo tipo, e me che meno avere la percezione di aver fatto qualcosa di sbagliato o una ‘zingarata’. Un amico rispondendo alle mie critiche mi diceva Gino, tu devi avere una visione più orizzontale delle cose, non che la tua sia verticale, ma devi spianare di più la prospettiva, ecco! Il mondo è una grande piscina blu, dove tutti si tuffano, nulla di più…
E tuttavia qualcosa si deve cambiare sempre, del resto la maturazione è importante. Lo stesso fratello maggiore Carboni, ammoniva noi mocciosi bavosi cantando nell’84’ che Ci stiamo sbagliando ragazzi/noi che camminiamo sul mondo/noi coi piedi di piombo/restiamo giù/sotto cento chili di cielo/eh… siamo forse degli angeli/Noi no, noi che non siamo le stelle/nemmeno le donne, nemmeno quelle/quelle più belle/o le commesse del negozi del centro/quelle vivono a mezze giornate/eh… no che non sono le fate.
Nel 1991 poi Raf ci aveva avvisato con la sua Malinverno che (…) vola via da Rimini/l’allegria e ho i brividi oggi/in questa spiaggia inutile/e come un cencio d’alga vento in faccia/guardo il buio immobile ormai.(…) Noi per le vie di Rimini/le compagnie agli angoli e oggi è un deserto inutile/un’albergheria nell’universo/un atomo invivibile e poi quanta solitudine c’è in fondo all’allegria, lo sai/torno sui miei passi ormai, partirò penso anche oggi stesso/la pioggia addosso/solo in questa città, tutta sbagliata/la pioggia adesso/che lo sento di più il male di vivere/la pioggia e sabbia…
Ma Rimini e Riccione sono molto altro, due luoghi dell’anima importanti nell’immaginario collettivo, e non solo in quello tipicamente giovanile, peraltro portatore di tutta la sua eterogeneità.
Sono e rimarranno sempre un cardine di energie e di emozioni, da quelle felliniane e di Tonino Guerra a quelle post iper-consumistiche e oltre fino all’infinito.
Cos’è viale Ceccarini se non un’intersezione di forze vettoriali. Di per sé sarebbe solo qualche bel negozio e poco più.